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Scarica l'allegato - Database Comuni Italiani - EdiPol

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c.p. nella fattispecie, più grave e con<br />

elementi specializzanti, della ricettazione<br />

ex art.648 c. p. (Cass. sez. 5, sent.<br />

n. 1315 del 27.4.1998 e sent. n. 5525<br />

del 14.1.2000).<br />

Ciò peraltro veniva sostenuto prescindendo<br />

dalla eventuale natura abusiva,<br />

cioè senza titolo amministrativo, del commercio<br />

(in qualsiasi forma, fisso od ambulante)<br />

svolto dal venditore senza licenza,<br />

attenendo ai diversi profili amministrativi<br />

della fattispecie, regolati dalla<br />

citata legislazione di settore.<br />

La tesi si fondava sulla natura plurioffensiva<br />

del reato ex art. 474 c.p. di introduzione<br />

e commercio di prodotti falsi, ritenuto<br />

reato contro il patrimonio, oltrechè<br />

contro la pubblica fede.<br />

La giurisprudenza ha ritenuto talora che<br />

la norma è rivolta alla protezione del monopolio<br />

sull’opera e sul marchio ed è<br />

quindi posta a tutela del patrimonio dei<br />

privati. Ne seguiva secondo tale impostazione<br />

che:<br />

1. la ricezione di beni contraffatti od alterati<br />

è antefatto non punibile della detenzione<br />

per la vendita; priva di rilievo<br />

autonomo nella condotta punita dall’art.<br />

474 c.p.;<br />

2. le opere riprodotte abusivamente ed i<br />

beni con marchi falsi sono prodotti e non<br />

provento di reato, come richiesto dall’art.<br />

648 c.p.<br />

2.4. Le Sezioni unite nel 2001, con la<br />

sentenza sopra citata (Cassazione, sezioni<br />

unite penali, sentenza del 7.6.2001<br />

n. 23427) hanno infine risolto il contrasto<br />

giurisprudenziale, chiarendo che ricettazione<br />

e commercio di prodotti falsi<br />

sono delitti che possono concorrere nell’ipotesi<br />

della vendita di merce contraffatta.<br />

Ciò anche nell’ipotesi della semplice<br />

detenzione al fine di vendere, qualora<br />

il commerciante da un lato sia consapevole<br />

della provenienza della merce<br />

da altro delitto (reato presupposto), dall’altro<br />

vi sia la coscienza e volontà di detenere<br />

cose contraffatte destinate alla<br />

vendita. Ricettazione e commercio di<br />

prodotti falsi sono infatti fattispecie penali<br />

che secondo le sezioni unite descrivono<br />

condotte diverse sotto il profilo<br />

strutturale e cronologico, tra cui non si<br />

configura rapporto di specialità, nè risulta<br />

dal sistema penale una diversa volontà,<br />

espressa od implicita, del legislatore (cfr.<br />

guida al diritto - sole 24 ore n. 27 del<br />

10.7.2004, p. 59).<br />

Si registra di recente poi un ulteriore<br />

orientamento (Cassazione, sezione II pen.<br />

sentenza n. 12926/2004, guida al diritto,<br />

cit.), relativo al solo art. 474 c.p., norma<br />

di cui la Corte suprema fornisce una puntuale<br />

ricostruzione, partendo da una disamina<br />

approfondita del bene giuridico<br />

tutelato.<br />

Si stabilisce, come vediamo oltre, che<br />

non è rilevante l’eventuale inganno a carico<br />

del compratore (v. paragr. 4).<br />

La sentenza citata, per altro verso, conferma<br />

l’astratta possibilità del concorso<br />

con la ipotesi di ricettazione, secondo<br />

l’insegnamento sopraccitato delle Sezioni<br />

Unite penali.<br />

3) Il delitto di introduzione<br />

nello Stato<br />

e commercio di prodotti<br />

con segni distintivi falsi (art. 474 c.p.)<br />

3.1. L’art. 474 c.p. prevede un delitto contro<br />

la pubblica fede (c.p. libro II, titolo<br />

VII), volto alla tutela dell’affidamento collettivo<br />

nella veridicità dei marchi e segni<br />

distintivi dei prodotti industriali e opere<br />

dell’ingegno.<br />

Esso richiede la contraffazione o l’alterazione<br />

di un marchio protetto e riconosciuto<br />

nello Stato od all’estero (Cassazione<br />

penale, sezione V, 7.5.1986 n.<br />

2670; idem, sezione V, 27.5.1981 n.<br />

4980). La condotta punibile consiste nel<br />

detenere per vendere o nel porre in<br />

commercio prodotti industriali con marchi<br />

o segni contraffatti od alterati, avendone<br />

coscienza e volontà (Cassazione penale<br />

sezione V, 27.5.1973 n. 387; sezione<br />

VI, 12.4.1986 n. 2897).<br />

Si ha contraffazione quando vi è la integrale<br />

riproduzione in tutta la sua configurazione<br />

di un marchio o segno distintivo.<br />

Vi è la condotta di alterazione invece<br />

quando la riproduzione è parziale, ma<br />

confondibile col marchio o segno originale.<br />

Non occorre dimostrare le concrete<br />

trattative per la vendita stessa, essendo<br />

sufficiente detenere, col chiaro intento di<br />

mettere in vendita, le merci fasulle (vedi<br />

anche Cassazione penale, sezione V,<br />

25.5.1978 n. 6374).<br />

3.2. In generale l’ambito di tutela della<br />

fede pubblica nel campo della contraffazione<br />

e del commercio abusivo era controverso<br />

nella giurisprudenza di legittimità.<br />

Era stata affermata infatti la penale<br />

irrilevanza dei casi in cui il compratore<br />

82<br />

può constatare la falsità del marchio, sia<br />

per la evidente scarsa qualità del prodotto,<br />

sia per il prezzo vile richiesto (Cassazione<br />

penale, sezione V, sentenza<br />

2119/2000). In sostanza, se il falso era<br />

grossolano, esso era da ritenere mediamente<br />

riconoscibile: la vendita era perciò<br />

lecita penalmente, mancando l’idoneità<br />

ad ingannare la persona di media<br />

esperienza e diligenza.<br />

Questa ricostruzione privilegiava evidentemente<br />

la libera determinazione del<br />

privato, quindi la tutela della volontà negoziale<br />

e conseguentemente del patrimonio,<br />

che deve restare esente da incisioni<br />

causate da condotte fraudolente dei<br />

commercianti. L’art. 474 codice penale<br />

era ricostruito quale reato di danno, che<br />

esigeva una contrattazione in cui l’acquirente<br />

è ingannato dal venditore circa<br />

la veridicità del marchio o del segno distintivo.<br />

La tesi, se da un lato pare coerente<br />

con il principio dottrinale della “offensività”<br />

della fattispecie penale, dall’altra<br />

si pone in contrasto con l’oggetto<br />

giuridico della norma, costituito non dall’affidamento<br />

del privato nella libera e<br />

consapevole contrattazione, bensì dall’affidamento<br />

collettivo in ordine ai marchi<br />

dei prodotti oggetto dei traffici economici.<br />

La tesi, restrittiva peraltro, si pone<br />

in collisione inoltre con la circostanza<br />

che è reato ex art. 474 codice penale<br />

anche la sola detenzione di merci contraffatte<br />

destinate alla vendita. Essa trova<br />

poi smentita nella esigenza di tutela di un<br />

bene giuridico della collettività, la fede<br />

pubblica, che richiede la repressione anche<br />

di fatti che causano la sola probabilità<br />

di una lesione della fede pubblica,<br />

quali ad esempio la vendita di merci con<br />

“griffes” fasulle, che entrano poi nel circuito<br />

commerciale generando confusione<br />

nel pubblico e causando danni anche<br />

d’immagine alle “maisons”.<br />

4) La pronuncia<br />

della Corte di Cassazione<br />

II sezione penale, sentenza n. 12926<br />

del 5-17 marzo 2004<br />

4.1. L’orientamento fin qui esposto, anteriore<br />

alla sentenza in commento, sembra<br />

rifarsi alla teoria del reato - contratto<br />

ed è stato smentito dalla Suprema Corte.<br />

Con la sentenza n.12926 del 5-17 marzo<br />

2004 della Cassazione penale cade infatti<br />

la necessità di accertare se vi sia stato<br />

o meno inganno a carico del compra-

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