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A destra Luigi Russolo al Russolophone,<br />

in Alexandre Grenier, Michel Seuphor<br />

Un siècle de libertés. Entretiens avec<br />

Michel Seuphor, Hazan, Paris, 1996<br />

VIVAVERDI<br />

19<br />

FUTURISMO/2<br />

LE SEI FAMIGLIE<br />

DEI RUMORI<br />

di Dario Oliveri<br />

Uno dei risvolti cruciali dell’intervento futurista<br />

era costituito dalla sua volontà di perseguire<br />

un rinnovamento globale dell’esperienza<br />

umana, dall’arte alla vita e viceversa.<br />

Lo dimostrano, per esempio, gli innumerevoli<br />

manifesti pubblicati dopo il 1909: alcuni<br />

davvero sorprendenti, come il Manifesto<br />

futurista della Lussuria, realizzato nel 1913<br />

dalla poetessa francese Valentine de Saint-<br />

Pont; altri semplicemente bizzarri, come il<br />

Manifesto della cucina futurista (1930), in<br />

cui si teorizza “l’abolizione della pastasciutta,<br />

assurda religione gastronomica italiana”<br />

e la creazione di “bocconi simultanei […]<br />

che contengano dieci, venti sapori da gustare<br />

in pochi attimi”; altri, infine, destinati a<br />

diventare pietre angolari della nostra percezione<br />

del moderno. È il caso, per esempio,<br />

del manifesto di Carlo Carrà intitolato<br />

La pittura dei suoni, rumori e odori (11 agosto<br />

1913), che suggerisce l’ipotesi di un rapporto<br />

“da lontano” con il gruppo del Cavaliere<br />

Azzurro di Marc e Kandinskij. Per<br />

quanto riguarda la musica, si segnalano invece<br />

le vibranti declamazioni parolibere di<br />

Marinetti (Battaglia di Adrianopoli, Festa<br />

dei motori di guerra, Battaglia simultanea<br />

di terra mare cielo, etc.), i tre manifesti pubblicati<br />

da Francesco Balilla Pratella fra il 1910<br />

e il 1912, la singolare esperienza dei Balli<br />

plastici di Fortunato Depero, ma soprattutto<br />

i saggi teorici e le opere, sia pittoriche sia<br />

musicali, di Luigi Russolo.<br />

L’idea che possa esistere un’arte dei rumori, o che il rumore possa considerarsi un aspetto<br />

dell’espressione artistica, segna i percorsi di molta musica novecentesca: da Edgar Varèse ad<br />

Aphex Twin, passando per la musique concrète, Stockhausen, i Beatles e il rap. A volerne<br />

rintracciare la genesi, il suo primo e originario apparire, ci si ritrova tuttavia nel bel mezzo del<br />

Futurismo italiano e del suo frenetico tentativo di “ricostruire l’universo” a propria immagine e<br />

somiglianza.<br />

Nato a Lugo di Romagna nel 1880, Pratella<br />

fu “il primo musicista che aderì nel ’10 alla<br />

causa del Futurismo” (D. Nicolodi) e l’autore<br />

di un famoso e controverso Manifesto dei<br />

musicisti futuristi in cui lo slancio antiaccademico<br />

si aggiunge all’aggressione contro<br />

“i grandi editori-mercanti” e “le opere<br />

basse, rachitiche e volgari di Puccini e Giordano”.<br />

Al tempo stesso, e per ragioni che ci<br />

appaiono a dir poco incomprensibili, l’autore<br />

esalta però “i tentativi d’innovazione nella<br />

parte armonica” di Pietro Mascagni e le “tendenze<br />

novatrici” di Sibelius e di Debussy,<br />

mentre condanna Richard Strauss “per<br />

l’aridità, il mercantilismo e la banalità dell’anima<br />

sua” e omette del tutto di considerare<br />

“quello che già bolliva in pentola nell’Europa<br />

musicale del primo Novecento, tra<br />

Parigi, Vienna e Berlino, da Ravel a Erik Satie<br />

e Strawinsky, da Hindemith e Bartók a<br />

Schönberg e alla sua scuola” (L. Rognoni).<br />

Come autore, Pratella è inoltre ricordato per<br />

alcune opere ormai desuete come la sinfonia<br />

Inno alla vita, presentata al Teatro Costanzi<br />

sotto “una pioggia ininterrotta di verdure,<br />

di frutta e castagnacci” (F.B. Pratella),<br />

come il ciclo di danze La guerra (1918) oppure<br />

il dramma in tre atti L’aviatore Dro<br />

(1911-14). Descritto da Mario Labroca come<br />

“un’opera di esasperante dilettantismo,<br />

basata per giunta su un libretto di inverosimile<br />

bruttezza”, il “capolavoro” di Francesco<br />

Balilla Pratella, rappresentato per la prima<br />

volta nel 1920, ebbe il singolare destino<br />

di attirarsi dapprima l’ostilità della critica<br />

fascista (dovuta alla presenza di alcuni episodi<br />

ritenuti scabrosi) e in seguito le riserve<br />

di un autore decisamente legato ai destini<br />

dell’avanguardia europea come Lugi Rognoni,<br />

che malgrado “le didascalie provocatorie<br />

e le ‘violenze’ sceniche” intravede<br />

nell’opera un deplorevole intreccio fra il<br />

“debussismo all’italiana allora dilagante” e<br />

“un tessuto armonico e melodico-vocale di<br />

chiara derivazione verista”.<br />

Ciò premesso, e pur considerando le occasionali<br />

convergenze futuriste di Silvio Mix<br />

(con il balletto Psicologia delle macchine),<br />

di Virgilio Mortari (temporaneamente arruolato<br />

al Teatro della Sorpresa), di Luigi

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