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X FACTOR<br />
SE LA CANZONE POPOLARE<br />
DIVENTA IL SOTTOFONDO<br />
PER UNA SFIDA DA COLOSSEO<br />
di Gianni Minà<br />
VIVAVERDI<br />
27<br />
Povera musica popolare, messa in crisi dalla<br />
mancanza di prospettiva di quelle che erano le<br />
case discografiche, dall’insipienza e dall’arroganza<br />
di molte delle radio che dicono di sostenerla<br />
e infine schiacciata dall’uso che ne fanno<br />
adesso i network televisivi.<br />
Una volta la musica che la gente cantava era la<br />
regina della programmazione televisiva, serviva<br />
addirittura a rialzare l’audience, quando in<br />
uno studio di intrattenimento o divulgazione<br />
magari si sbrodolavano parole.<br />
Entrava un cantante e subito si impennavano i<br />
picchi d’ascolto. Adesso, spesso, un interprete<br />
per poter farsi ascoltare deve mortificarsi in<br />
un reality show.<br />
E’ successo, per esempio, a Fausto Leali, una<br />
delle voci più belle ed intriganti del nostro mondo<br />
della canzone. Ma c’è di peggio: non solo nel<br />
poco spazio riservato alla musica popolare si<br />
privilegia il personaggio, magari un po’ stonato,<br />
all’artista dalla voce indiscutibile, ma addirittura<br />
si ha l’impressione che nei programmi,<br />
in teoria basati sulla forza dei brani e dell’interpretazione,<br />
si preferisca la capacità di lite dei<br />
giurati, più o meno adeguati ad esprimere un’opinione,<br />
all’esecuzione stessa del brano.<br />
Insomma, molte volte, in programmi come<br />
Amici di Maria De Filippi o lo stesso XFactor,<br />
si ha l’impressione che la musica popolare, in<br />
teoria protagonista dello show, debba essere, o<br />
sia, un riempitivo inutile fra una polemica, una<br />
baruffa e una filippica.<br />
E’ vero, in questi spettacoli ci sono troppe volte<br />
veri dilettanti allo sbaraglio, che però vengono<br />
esaltati “per come si muovono o si propongono”<br />
come fossero future madonne o Amy<br />
Winehouse, indipendentemente dal timbro e<br />
dalla quadratura del loro canto, ma quando si<br />
vedono scartare quelle poche voci intonate e<br />
indiscutibili, selezionate a quelle trasmissioni<br />
che sembrano circhi della musica, capisci<br />
che la canzone, specie quella d’autore, è in ostaggio.<br />
E’ solo una scusa per ricreare uno spettacolo<br />
da Colosseo, dove tutto sia ammesso e scorra<br />
possibilmente il sangue.<br />
Chiedo scusa se mi sbaglio agli autori di questa<br />
Molto spesso, le trasmissioni in televisione sembrano circhi della musica in cui la canzone, specie quella<br />
d’autore è in ostaggio o pare un riempitivo<br />
tv detta innovativa, ma giuro che l’impressione<br />
che se ne trae è questa.<br />
XFactor sembra più propenso a lasciarsi travolgere<br />
dalla musica, ma se poi per “esigenze di<br />
ritmi televisivi” (che non sono state mai dimostrate)<br />
mortifichi le canzoni, riducendone la<br />
durata quando le eseguono i giovani concorrenti<br />
e facendo spesso perdere (essendo brani<br />
famosi) il fascino della loro costruzione, certo<br />
non fai del bene all’educazione musicale dello<br />
spettatore e alla formazione del suo gusto.<br />
Già il titolo, XFactor (un format di intenzioni<br />
“guerresche” nato ovviamente negli Stati Uniti),<br />
presuppone che il successo possa venire da<br />
un elemento inaspettato, inedito, non dalla propria<br />
bravura. Qualche volta è così, non lo nego,<br />
ma quell’artista rivelatosi per un fattore x, quasi<br />
sempre non dura più dello spazio di un paio<br />
di stagioni, se non gli hanno insegnato a puntare<br />
sulla qualità.<br />
Per questo il tono più giusto di questi spettacoli,<br />
dove la musica popolare o il ballo moderno<br />
sono troppo spesso equiparati al numero della<br />
“donna cannone”, mi pare quello di Mara<br />
Majonchi, antica combattente per la difesa della<br />
musica popolare, che svicola dalle situazioni<br />
a volte grottesche di XFactor, con l’ironia della<br />
sua terra emiliana e la saggezza di chi nello<br />
spettacolo ha già visto tutto.<br />
E’ la stessa via che ha scelto per il Festival di<br />
Sanremo Don Chisciotte Paolo Bonolis, con il<br />
suo Sancho Panza Luca Laurenti.<br />
Anche al cinquantanovesimo Festival la musica<br />
popolare non è riuscita ad uscire completamente<br />
indenne dalla mortificazione a cui, da<br />
qualche tempo, è condannata in tv.<br />
Ma credo che il “varietà” messo in piedi da Bonolis,<br />
a piccole pillole fra un brano e l’altro, non<br />
le abbia nuociuto più di tanto e abbia semmai<br />
salvato una qualità di canzoni decisamente mediocre.<br />
Il fatto, poi, che Bonolis abbia scelto solo o prevalentemente<br />
ospiti italiani di valore, che han-<br />
no fatto la storia della nostra canzone, è servito<br />
a ricordare che la musica popolare, nel nostro<br />
paese, è esistita e non è morta, e che questa<br />
costatazione può aiutare il mondo dei nostri<br />
autori ad uscire dal deserto creativo nel quale<br />
i manager del disco, spesso esageratamente<br />
colonizzati dalle mode e dall’insipienza e dai ricatti<br />
delle radio che vivono di musica, hanno<br />
relegato la nostra canzonetta.<br />
Il problema, semmai, in queste gare da arena,<br />
è il cosiddetto televoto che, in generale, così come<br />
viene utilizzato ora, non sembra affidabile<br />
e può sciupare le migliori intenzioni o iniziative<br />
interessanti come il concorso Sanremofestival<br />
59, basato sull’ascolto di canzoni di esordienti<br />
tramite web.<br />
Il fatto è che nelle canzoni di oggi si parla e non<br />
si canta, senza avere neanche la sincerità dei<br />
veri rap. Sono rap all’amatriciana, che fanno<br />
forse sentire moderni, ma sono molto lontani<br />
dall’essere il parto di un artista.<br />
Canzoni dignitose già ce n’è poche, con melodie<br />
senza respiro, ritmi che sono improbabili<br />
copie di quelli alla moda in quella stagione a<br />
Londra o a Los Angeles e testi non solo con tutti<br />
gli accenti sbagliati e le parole storpiate per<br />
farle entrare nei tempi della musica, ma di una<br />
banalità disarmante.<br />
Far giudicare, come nella classifica finale del<br />
59° Festival di Sanremo, questo materiale con<br />
il televoto di giurati divisi per età, come se i giovani<br />
sotto i venticinque anni fossero una specie<br />
protetta e i vecchi sopra i quaranta anni persone<br />
solo malate di nostalgia, è un servizio pessimo<br />
alla musica popolare.<br />
Il caso di Giusy Ferreri, che non ha nemmeno<br />
vinto a XFactor ma ha poi venduto 600.000 copie<br />
della sua canzone, è emblematico.<br />
Il televoto, insomma, per come è organizzato<br />
adesso, e per i risultati che ha dato al 59° Festival,<br />
non è uno strumento per giudicare la musica<br />
popolare, ma un congegno per metterla ancora<br />
più in crisi di credibilità.