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VIVAidee<br />

VIVAVERDI<br />

63<br />

FUORI L’AVANGUARDIA<br />

IL DIARIO<br />

INESSENZIALE<br />

DI ALLEVI<br />

di Dario Oliveri<br />

Tra i tentativi di mescolare cultura alta e<br />

cultura bassa in campo musicale, va<br />

sicuramente segnalato quello portato<br />

avanti da Giovanni Allevi. Il compositore e<br />

pianista marchigiano ha cominciato con la<br />

colonna sonora per Le Troiane di Euripide<br />

ma poi è passato a lavorare con Jovanotti<br />

e ad aprire i suoi concerti. In pochi anni<br />

Allevi ha ottenuto un notevole successo ed<br />

è circondato ormai dall’entusiasmo del<br />

pubblico che ha accolto con favore anche<br />

la sua autobiografia La musica in testa.<br />

L’idea di un rapporto indissolubile fra “creazione”<br />

ed “esecuzione” percorre, da un capo<br />

all’altro, la storia della musica europea e<br />

per moltissimo tempo i compositori sono<br />

stati anche e in primo luogo dei grandi strumentisti.<br />

L’immagine del compositore/interprete<br />

svanisce tuttavia dagli orizzonti dell’avantgarde<br />

novecentesca man mano che la<br />

musica assume un carattere più “concettuale”<br />

e la presunta originalità del segno prevale<br />

sulla sua reale efficacia sonora: in questi<br />

termini, spezzando una linea che congiunge<br />

idealmente i grandi maestri del periodo<br />

barocco ai compositori/virtuosi della<br />

generazione romantica e tardo-romantica<br />

(da Paganini, Thalberg e Liszt sino a Busoni<br />

e Rakhmaninov), l’estetica della Nuova<br />

Musica fa sì che i compositori – ormai esiliati<br />

dalla tastiera o dal podio – divengano<br />

soltanto dei compositori.<br />

L’idea del compositore/performer che partecipa,<br />

da solo o con la sua band, all’esecuzione<br />

delle proprie opere si riafferma tuttavia,<br />

verso la fine degli anni Sessanta, in relazione<br />

ad un’idea della musica molto lontana<br />

dalle avanguardie europee. Protagonisti<br />

di tale “innovazione” – che nei mondi<br />

paralleli del jazz e del rock ha sempre costituito<br />

la norma – sono stati dapprima certi<br />

autori come Frederic Rzewski, Terry Riley e<br />

Philip Glass, tendenti a considerare il rapporto<br />

con il pubblico quale aspetto essenziale<br />

del processo creativo e disposti, in qualche<br />

misura, ad attribuire alle loro opere anche<br />

un carattere di intellectual music for pop<br />

audience che costituisce un superamento<br />

della tipica “solitudine” della musica colta<br />

nel XX secolo. Un analogo tentativo di infrangere<br />

le barriere fra cultura “alta” e “bassa”,<br />

è stato compiuto in Gran Bretagna da<br />

Michael Nyman e Gavin Bryars. In Italia, si<br />

possono invece citare i nomi di Ludovico Einaudi,<br />

Giovanni Sollima, Carlo Boccadoro<br />

e, naturalmente, Giovanni Allevi.<br />

Quest’ultimo, è un compositore/pianista di<br />

quasi quarant’anni che da qualche tempo a<br />

questa parte gode di un’eccezionale notorietà,<br />

soprattutto fra il pubblico – di per sé<br />

assai vasto – dei “non addetti ai lavori”. Viceversa,<br />

molti suoi colleghi, e soprattutto<br />

quelli che agiscono sul fronte della “musica<br />

classica”, tendono guardarlo con sufficienza<br />

o addirittura con ostilità. Personalmente,<br />

ho conosciuto Giovanni Allevi a Palermo,<br />

nell’aprile del 2004 ad un concerto<br />

dell’Orchestra Sinfonica Siciliana in cui eseguiva<br />

per la prima volta Foglie di Beslan.<br />

In quella circostanza, mi sembrò una persona<br />

molto gentile ed un pianista perfettamente<br />

adeguato alle intenzioni espressive<br />

del pezzo (che oltretutto fu eseguito due volte,<br />

a grande richiesta del pubblico). Altre<br />

occasioni d’ascolto, mi hanno rivelato i vari<br />

volti di un repertorio da cui affiorano, nei<br />

passaggi più felici, slanci melodici solari e<br />

affermativi, sorretti da un dinamismo ritmico<br />

mai troppo invadente. La piacevolezza<br />

un po’ d’ameublement dell’ascolto discografico,<br />

assume tuttavia un rilievo assai<br />

diverso durante i concerti: nonostante la sua<br />

timidezza, Giovanni Allevi dialoga molto a<br />

lungo con il pubblico, racconta l’ispirazione<br />

e la genesi dei singoli pezzi, concepisce<br />

la sua performance come una sorta di diario<br />

condiviso, in cui si alternano musica e<br />

parole. Gli innumerevoli fan reagiscono con<br />

entusiasmo: sono gli stessi, probabilmente,<br />

che hanno accolto con favore anche il volume<br />

autobiografico La musica in testa<br />

(2008), un’abile sintesi dell’Allevi-pensiero<br />

che, malgrado il suo carattere forse un pò<br />

troppo auto-celebrativo, ha raggiunto in pochi<br />

mesi la decima edizione. Gli altri – i nonfan,<br />

i semplici osservatori – si confessano<br />

invece un po’ annoiati e rimangono perplessi<br />

di fronte ad una musica tecnicamente assai<br />

meno semplice di quanto si possa immaginare,<br />

ma il cui limite risiede semmai in una<br />

vastità di riferimenti e allusioni da cui non<br />

emerge – se non a tratti – una cifra essenziale,<br />

un gesto creativo destinato ad imprimersi<br />

per sempre nella coscienza.<br />

dario.oliveri@libero.it

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