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Pagine di storia brindisina

Non è questo un testo di storia, ma è solo una raccolta di alcunii episodi della storia di Brindisi, non tra di essi necessariamente collegati e qui rieditadi e riordinati in sequenza cronologica. Si tratta, infatti, di vari articoli già in precedenza da me pubblicati online, alcuni sulla pagina Brindisiweb.it e altri sul blog “Via da Brindisi” del quotidiano online Senza Colonne News, altri ancora su "il7 Magazine". Il distintivo, scelto per la copertina di questa raccolta, vuole essere un omaggio alla figura e alla memoria di un grande brindisino doc, Don Pasquale Camassa, generoso amante, nonché prolifico divulgatore, della storia della sua città.

Non è questo un testo di storia, ma è solo una raccolta di alcunii episodi della storia di Brindisi, non tra di essi necessariamente collegati e qui rieditadi e riordinati in sequenza cronologica. Si tratta, infatti, di vari articoli già in precedenza da me pubblicati online, alcuni sulla pagina Brindisiweb.it e altri sul blog “Via da Brindisi” del quotidiano online Senza Colonne News, altri ancora su "il7 Magazine".
Il distintivo, scelto per la copertina di questa raccolta, vuole essere un omaggio alla figura e alla memoria di un grande brindisino doc, Don Pasquale Camassa, generoso amante, nonché prolifico divulgatore, della storia della sua città.

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sortita all’interno <strong>di</strong> quei confini, ottenuta una formale sottomissione del duca<br />

beneventano Arechi II alla propria autorità, lo elevò a principe. Probabilmente, il re<br />

Carlo preferì mantenere in vita quello stato longobardo in un certo qual modo a lui<br />

sottomesso, piuttosto che intraprendere impegnative campagne militari che<br />

avrebbero potuto attivare pericolose frizioni con il confinante – in quel sud italiano –<br />

impero bizantino, nonché stimolare imbarazzanti richieste <strong>di</strong> ampliamento<br />

territoriale verso Sud da parte pontificia.<br />

Se ne riparla – <strong>di</strong> Brin<strong>di</strong>si – solo nell’838 e se ne riparla perché sullo scenario del<br />

Meri<strong>di</strong>one continentale d’Italia è apparso un terzo litigante ad affiancare i due<br />

precedenti e già secolari contendenti longobar<strong>di</strong> e bizantini. Si tratta degli Arabi<br />

originari del nord Africa, poi più comunemente detti Saraceni, provenienti dalla loro<br />

nuova vicina base, la Sicilia, che da poco più <strong>di</strong> una decina d’anni – dall’827 – avevano<br />

gradualmente cominciato ad occupare (Palermo sarebbe caduta nell’831 e, ultima,<br />

Siracusa nell’878) sottraendola ai Bizantini. E perché mai e come mai, i Saraceni<br />

provenienti dalla Sicilia giunsero fino a Brin<strong>di</strong>si?<br />

Accadde semplicemente che, una volta sbarcati e ben inse<strong>di</strong>ati nella Sicilia, fu<br />

naturale che gli Arabi guardassero all’Italia peninsulare come ad una meta <strong>di</strong><br />

conquiste e, soprattutto, <strong>di</strong> scorrerie. Le incursioni e le loro azioni <strong>di</strong> offesa verificatesi<br />

nel Meri<strong>di</strong>one d’Italia, infatti, per lo più contrastarono con la stabilità propria<br />

dell’inse<strong>di</strong>amento musulmano insulare della Sicilia, dove da subito si manifestò il<br />

desiderio <strong>di</strong> una durevole conquista con la volontà <strong>di</strong> includerla nel dominio islamico.<br />

Nel territorio peninsulare, invece, i pochi isolati episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> conquista, come quelli <strong>di</strong><br />

Bari e Taranto o sul Garigliano a sud <strong>di</strong> Gaeta, si estinsero nel giro <strong>di</strong> due o tre decenni<br />

al massimo; mentre per ben due secoli, il IX e il X, quasi l’intero Mezzogiorno visse la<br />

presenza musulmana come un endemico flagello <strong>di</strong> guerra e <strong>di</strong> rapina, continuamente<br />

combattuto – da Bizantini, Veneziani, Longobar<strong>di</strong>, Pontifici, Franchi – e mai debellato.<br />

E tutto ciò durò così a lungo anche perché gli Arabi furono abili a inserirsi nelle<br />

vicende della tribolata <strong>storia</strong> altome<strong>di</strong>evale del Meri<strong>di</strong>one italiano, proprio come<br />

avvenne in quella loro prima incursione dell’836 e 837, quando fu lo stesso duca <strong>di</strong><br />

Napoli, il console Andrea, che li chiamò in suo soccorso contro Sicardo, il principe<br />

longobardo <strong>di</strong> Benevento, che lo aveva asse<strong>di</strong>ato.<br />

Da lì in avanti il prosieguo fu inevitabile e, solo un anno dopo, gli Arabi <strong>di</strong> Sicilia<br />

comparvero nelle acque dell’Adriatico e s’impadronirono in<strong>di</strong>sturbati <strong>di</strong> Brin<strong>di</strong>si.<br />

«Per idem tempus Agarenorum gens, cum iam Siculorum provinciam aliquos tenuerunt<br />

per annos pervasam, iam fretum conabantur transire Italiam occupandam. Dum vero cum<br />

multitu<strong>di</strong>ne navium fretunque ille transmeassent, sine mora Brin<strong>di</strong>sim civitatem<br />

pugnando ceperunt (Chronicon Salernitanum)»<br />

Il duca Sicardo, appena saputolo, accorse da Benevento con numerose forze a<br />

cavallo per respingerli, ma la sua corsa si bloccò per un banale tranello: gli assalitori,<br />

scavata una lunga e profonda trincera in prossimità dell’ingresso alla città, la<br />

ricoprirono con rami e con zolle <strong>di</strong> terra; quin<strong>di</strong> vi attirarono l’ingenuo nemico che<br />

cadde nella trappola subendo gravissime per<strong>di</strong>te, anche se Sicardo riuscì<br />

fortunosamente a salvarsi.<br />

Quegli Arabi giunti fino a Brin<strong>di</strong>si, probabilmente in pochi, avuta notizia che dopo<br />

lo scacco il duca-principe Sicardo stava facendo gran<strong>di</strong> preparativi per la rivincita, non<br />

esitarono a dar fuoco alla città e a ritirarsi, non senza averla depredata del poco<br />

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