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universita' degli studi della tuscia facolta' di agraria ... - Unitus DSpace

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per la combinazione dei geni “fr” con plasmogeni <strong>di</strong> tipo “c”. Diversamente, il gene<br />

ristoratore nella forma dominante “Fr” si comporta come un allele soppressore <strong>della</strong><br />

maschiosterilità, in quanto ripristina la fertilità del sesso maschile se associato al citoplasma<br />

“S”. Nei genomi delle piante coltivate sono stati in<strong>di</strong>viduati numerosi geni ristoratori in<br />

numero comunque inferiore a quello dei geni “ms”. Alcune volte questi geni coesistono nello<br />

stesso genitore, ma segregano in<strong>di</strong>pendentemente e non interferiscono con le loro in<strong>di</strong>viduali<br />

espressioni, come è <strong>di</strong>mostrato in molte specie vegetali <strong>di</strong> interesse agrario (Evenor et al.,<br />

1984). Anche l’interazione fra geni “ms” e citoplasma “S” non è mai stata provata.<br />

Fondamentalmente la maschiosterilità può essere considerata solo <strong>di</strong> due tipi: genetica e<br />

genetico-citoplasmatica. In una specie vegetale la maschiosterilità <strong>di</strong>venta citoplasmatica<br />

quando, in aggiunta ad un citoplasma “N”, esistono uno o più citoplasmi “S” e <strong>di</strong> geni “Fr”<br />

non si manifestano in essa. In genere i geni “Fr” sono già presenti nel “pool-genico” <strong>della</strong><br />

specie prima ancora che avvengano mutazioni del citoplasma da “N” a “S”; per questo molti<br />

maschiosterili, considerati inizialmente come citoplasmatici, sono stati classificati più tar<strong>di</strong><br />

come maschiosterili genetico-citoplasmatici.<br />

La maschiosterilità citoplasmatica non può comunque essere considerata come una <strong>di</strong>stinta<br />

classe <strong>di</strong> maschiosterilità, ma una forma transitoria nell’evoluzione <strong>di</strong> quella geneticocitoplasmatica.<br />

2.2.2 Maschiosterilità non genetica<br />

Chimica.- Diverse sostanze chimiche sono state saggiate su numerose specie vegetali per<br />

verificare l’attività gametocida. I risultati dell’applicazione <strong>di</strong> questi prodotti sono stati<br />

alquanto deludenti, non perché l’efficacia maschiosterilizzante sia stata poco sod<strong>di</strong>sfacente,<br />

ma per i numerosi effetti collaterali negativi indotti sulle piante trattate (es.: riduzione <strong>della</strong><br />

fertilità femminile, sintomi <strong>di</strong> fitotossicità ed anomalie nella crescita). Inoltre, l’influenza del<br />

genotipo utilizzato, <strong>della</strong> dose, <strong>della</strong> durata, del trattamento e dello sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo del<br />

tessuto sull’efficacia dei gametoci<strong>di</strong>, non permettono un’estensione generalizzata dei risultati<br />

ottenuti.<br />

Anche la scalarità <strong>della</strong> fioritura in molte specie vegetali, come il finocchio, e quin<strong>di</strong> la<br />

contemporanea presenza sul pianta <strong>di</strong> fiori in <strong>di</strong>versi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo, rende <strong>di</strong>fficile stabilire<br />

il momento ottimale in cui eseguire il trattamento chimico. I gametoci<strong>di</strong>, che attualmente non<br />

hanno ancora raggiunto un reale interesse pratico, sono utilizzati pertanto solo per scopi<br />

sperimentali.<br />

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