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Ananas in carriola<br />

Jessica Barbagallo<br />

14.35. Esco di casa. Luce intensa e calore umido. Rio de Janeiro.<br />

Che favola eliminare l’inverno dalla vita. Calze guanti cappelli<br />

sciarpe. Tutti regalati quando ho lasciato Milano. La via che percorro<br />

per prendere l’autobus è il cuore pulsante di Copacabana:<br />

gente sudata e scalza che torna dalla spiaggia, pensionati usciti in<br />

cerca di luce dai vecchi appartamenti, meninos de rua distesi su<br />

cartoni luridi, con la mano e gli sguardi tesi verso i passanti. Sui<br />

marciapiedi ferve il commercio: cd e dvd pirata, vecchie scarpe, dischi<br />

in vinile, il tizio con la carriola piena di ananas. Carriola? Ma si<br />

dirà carriola in italiano? Siciliano, portoghese, italiano... che confusione!<br />

L’ananas in carriola emana comunque un profumo pazzesco.<br />

Che sovrasta perfino l’odore che esce dalle rosticcerie: a Palermo si<br />

chiamerebbe «ravazzata con carne», qui chissà come diavolo la chiamano.<br />

Sono seduta: comincia il rituale, palmare, leggere le e-mail<br />

dall’Italia, un salto su Corriere.it per leggere le Ultim’ora. Che depressione!<br />

La studentessa inglese, la ministra ignorante, destra contro<br />

sinistra, valori contro libertà. Certo che anche qui... L’autobus<br />

sul lungomare di Ipanema: biciclette, skate, beachvolley, un ragazzo<br />

abbronzato e muscoloso con un costume bianco che corre (che dio<br />

lo benedica!). È un giorno feriale: non lavora nessuno? Passiamo ai<br />

piedi della Rocinha. La favela sale fino in cima alla collina e si<br />

fonde con le ville miliardarie. La tipica contraddizione carioca.<br />

Continua il viaggio sull’avenida Niemeyer: scogli a strapiombo sull’oceano<br />

da un lato, foresta atlantica dall’altro. È un paesaggio che<br />

toglie il fiato. Barra da Tijuca, ma potrebbe essere Miami o San<br />

Diego. Palazzoni, catene di fastfood, ipermercatoni. E tutti in macchina,<br />

anche per comprare il pane. Soprattutto per comprare il<br />

pane. 15.35. Sono arrivata. L’edificio è tutto di vetro, ma senza<br />

neanche una finestra da poter aprire. «Ciao», «Ola». Un altro<br />

mondo, a un’ora da Copacabana. E duemila anni luce.

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