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Uno e Mozart<br />

Francesco Airoldi<br />

Cinque secondi. L’ho perso per cinque secondi, accidenti! Le porte<br />

dell’1 si chiudono proprio mentre mi fiondo fuori dal portone di<br />

casa. Guardo il vecchio carrozzone allontanarsi con il suo spaventevole<br />

baccano. Ma chi osa sostenere che questi vecchi «1928» siano<br />

pittoreschi e da salvaguardare nel nome della tradizione? Io li detesto,<br />

questi «sferraglioni». Ne rumoreggiano decine e decine al<br />

giorno proprio sotto le mie finestre. E quando, raramente, mi decido<br />

a prenderne uno, non arriva mai. Come adesso. Piove di<br />

brutto. Di usare l’auto non ho proprio voglia, impensabile disincastrarla<br />

dal millimetrico parcheggio dove l’ho cacciata un’ora fa. E<br />

poi la zona di destinazione è imparcheggiabile. Aspetta e spera. Il<br />

cartello alla fermata informa che a quest’ora la frequenza <strong>dei</strong> tram è<br />

ogni 10 minuti. Perso quello delle 20.10, se prendo quello delle<br />

20.25 ce la faccio. 20.35: non è passato un tubo. Irritazione e pioggia<br />

in aumento. Telefono all’amica: «Ciao, sono in ritardo... entra e<br />

tienimi un posto». 20.38: sbuca uno sferraglione. Salgo. Odore di<br />

pioggia e di varia umanità, tutti extracomunitari. Esasperante lentezza,<br />

fermate eterne agli incroci. A uno di questi il tramviere, faccia<br />

e voce antipatiche, annuncia che il tram va in deposito. Scendo<br />

incazzatissimo, è tardissimo, non ce la farò mai. Ritelefono: «Senti,<br />

qui succede che... mi spiace». Mi incammino verso casa, sconfitto<br />

dalle avversità e dall’Atm. Poi penso: “Eh no, mica gliela do vinta<br />

così!”. Acchiappo al volo il tram seguente dopo soli due minuti<br />

(mistero), le rotaie sono decentemente sgombre (nessun tanghero<br />

col Suv messo di traverso). 21.05: entro nella chiesa, trovo e saluto<br />

l’amica, mi siedo. 21.06: l’organo comincia piano, poi il coro attacca<br />

con Mozart: «Ave verum...». Chiudo gli occhi, dimentico miserie<br />

e contrattempi di questa Milano ormai invivibile. Mai come<br />

adesso capisco cosa intendeva il grande Ludwig Van quando scriveva:<br />

«Musica, rivelazione più alta di ogni saggezza e filosofia».<br />

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