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A Barcellona una domenica di dicembre<br />

Patrizia La Daga<br />

La scuola è una palazzina bianca a due piani e si estende su un terreno<br />

vasto, dove gli spazi di gioco per i più piccoli si alternano ai<br />

campi da calcetto o da basket per gli studenti più grandi. Dalle<br />

aule al piano superiore nelle giornate serene si vede il mare e i bambini<br />

spesso ci vanno in gita con le loro maestre. “Siamo fortunati”<br />

penso ogni pomeriggio, quando alle quattro esco di casa per andare<br />

a prendere i miei figli. Abitiamo a un passo dalla scuola, nel quartiere<br />

più prestigioso di Barcellona; a sette anni Lorenzo parla già tre<br />

lingue e Martina, che di anni ne ha solo tre, ha visto più mondo di<br />

quanto avessi fatto io a venti. Hanno amici di ogni nazionalità e<br />

colore e genitori uniti che si amano e li amano. Sono nati qui i<br />

miei figli, lontano da quella Milano d’asfalto in cui sono cresciuta<br />

e dove torno a salutare parenti e amici cinque o sei volte l’anno.<br />

Casa adesso è qui, in questa città compressa tra la collina e il mare,<br />

spagnola per gli stranieri, catalana per chi ci è nato, unica per tutti<br />

quelli che ci vivono. Casa è passeggiare in maniche di camicia sulla<br />

spiaggia una domenica di dicembre e poi fermarsi in un chiringuito<br />

a degustare tapas, mentre qualche turista nordico in costume si<br />

tuffa in mare come se fosse agosto. I bambini scalzi giocano a palla<br />

sulla sabbia, i calzoni arrotolati fino al ginocchio. Sudano. Nello<br />

stesso momento squilla il cellulare ed è mia madre che immagino<br />

raggomitolata sulla sua poltrona, avvolta in un plaid per proteggersi<br />

dal gelo invernale, mentre guarda Domenica In e dalle finestre<br />

di casa non vede che il grigio lattiginoso della nebbia padana. Parlo<br />

con lei e socchiudo gli occhi per proteggermi dal sole e forse dai<br />

pensieri. È il riverbero o sono lacrime di nostalgia? Il dubbio svanisce<br />

mentre con lo sguardo scorgo la scia di un aereo, forse va a Milano,<br />

penso, mille chilometri sono un’inezia, un’ora di volo, poche<br />

pagine di un libro. Sono il prezzo che pago per poter vedere il sorriso<br />

<strong>dei</strong> miei figli ogni pomeriggio alle quattro, quando racconto<br />

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