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Quindici anni. Una vita...<br />

Geraldine Mirabile<br />

5.45. Frastornata cerco di raccogliere le idee. Il quasi giorno illumina<br />

la stanza. E in quello spazio claustrofobico arriva il momento: «Svegliati<br />

andiamo». Per un attimo penso che sia andato tutto bene, che i<br />

miracoli esistono, che l’ultimo anno sia stato un incubo allargato<br />

temporalmente dal sonno. La scena è confusa. Medici, infermiere,<br />

noi e la barella con papà. Dorme, mi pare tranquillo, pallido, ma<br />

tranquillo. Finalmente si riposa. Quindici anni dopo la mia vita continua,<br />

nonostante. Ho dormito ininterrottamente nei giorni successivi,<br />

ho studiato tanto e ho pensato lucidamente di allontanarmi da<br />

tutti. Gran Bretagna. Per un anno alimento l’illusione di telefonare e<br />

sentire la voce di papà. Ma l’illusione si riduce e torno. Poco dopo la<br />

laurea riscappo. Ho bisogno di fuggire dal conosciuto e dalla realtà<br />

che non voglio affrontare. Se fossi stata coraggiosa sarei andata in un<br />

ashram a meditare per risolvere le ragioni della mia irrequietezza, ma<br />

non sono mai stata coraggiosa e ripiego su New York. Anni intensi,<br />

ma il vuoto rimane. Nonostante le fughe il vuoto si allarga. Vado a<br />

Cuba. È tutto così naturale. Una vita che si avvicina all’essenza. Ma<br />

la definitività è ostacolata da contingenze varie. Allora Roma, che<br />

non riuscirò mai ad amare. Continuo a pensare alla fuga ma sono intrappolata<br />

nel sistema, schiava del mio stipendio da adulta. Vigliacca<br />

per abbandonare tutto senza certezze. Immatura per lasciarmi alle<br />

spalle i sogni. Appassionata per pensare che quella sia la vita vera.<br />

Soffoco. Penso che da qualche altra parte del mondo riuscirò a cancellare<br />

quelle 5.45 e ricominciare a vivere. Mi organizzo per tornare a<br />

Nyc. La adoro, è come se non fossi mai andata via. Ho come una<br />

nausea. Penso che sia dovuta allo stress del cambiamento imminente.<br />

Ma io in genere non soffro il cambiamento e non dovrei avere la<br />

nausea. Le 6.45. Apro la porta e lui con i suoi due anni dorme nella<br />

nostra casa di London Fields. Lo guardo e mi riempie gli occhi, il<br />

cervello, l’anima, la vita. Ho smesso di fuggire.

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