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Filù mi aspetta a casa<br />

Milena Nebbia<br />

Filù mi aspetta a casa, dietro la porta. Tutti i santi giorni. Sempre<br />

alla stessa ora. È stata un regalo di Matteo – contro la depressione –<br />

ma alla fine la tengono i miei perché sto fuori troppe ore al giorno<br />

per lavoro. L’ho chiamata Filù, come diminutivo di Filumena, che<br />

è sempre stato un nome che mi piace, ma è troppo lungo e, come<br />

diceva Troisi, quando hai finito di pronunciarlo t’è già scappata<br />

chissà dove. Lei aspetta dietro la porta perché sa che io tutte le sere<br />

passo a salutarla e a farla giocare, ché mia madre alle otto è troppo<br />

stanca per raccogliere e lanciare palline. Lei sente l’ascensore e si<br />

mette dietro la porta. Io entro, poso la borsa e lei è già lì: mi<br />

guarda con un musetto disarmante inclinando la testina di lato cosicché,<br />

anche se sono distrutta, anche se il capo mi ha detto di rifare<br />

la stessa inutile lettera per quattro volte, anche se uno in treno<br />

mi è passato con il trolley sui piedi, anche se la vigilessa mi ha<br />

detto che mi sono fermata con la bicicletta nel punto sbagliato, anche<br />

se come tutti i giorni mi dico che cambierà, che da domani<br />

cambierò la mia vita... Nonostante tutto questo, che la mia vita<br />

cambi o no, lei è lì. Dunque poso la borsa, bevo un goccio d’acqua,<br />

saluto mia madre: come va? Bene, però tuo padre è il solito e bla<br />

bla bla... Poi, come ogni sera, vado in cerca di un topino di pelo<br />

fucsia: è il suo preferito, se lo mangia, lo trascina, gli fa gli agguati.<br />

Il problema è che scompare ogni volta e tocca cercarlo dappertutto.<br />

Mia madre sostiene che lo fa apposta. Dice anche che quando si<br />

accorge che è scomparso va a chiamarla con un miagolio strascicato<br />

e lamentoso che muoverebbe a pietà anche un sasso. Alla fine lo<br />

trovo sempre, la casa quella è, tre stanze. Finisce quasi sempre sotto<br />

la credenza, allora mi stendo per terra e lo recupero con il manico<br />

della scopa. Lo prendo, mi raddrizzo e glielo lancio. Lei sa già<br />

tutto, è un rituale: la mia gatta si dà lo slancio e con le zampe anteriori<br />

lo agguanta. E ha inizio il gioco.

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