Giovanni Paolo II, beato Mondo arabo in rivolta ... - Aracne editrice

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Pelaez Pasqua.qxp 05/04/2011 15.57 Pagina 271 SPIRITUALITÀ Pasqua con i tuoi «Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi». Per una volta il detto popolare non dice la verità. Anche Pasqua è una festa che si celebra in famiglia. A giustificazione di quest’errore si può addurre la dolce umanità del Natale e la maggiore difficoltà di comprendere razionalmente il significato della Pasqua cristiana e il suo legame con la Pasqua ebraica. Si comprende così come il processo di secolarizzazione abbia cancellato con più facilità nella cultura popolare ogni traccia religiosa dalle festività pasquali, salvo lasciare in piedi le celebrazioni scenografiche della Passione prive dei loro primitivi legami con le celebrazioni liturgiche, e trovi, invece, più resistenze nel rimuovere i connotati cristiani del Natale. La nascita, l’infanzia, la famiglia fanno parte del nostro mondo di esperienze. Che Dio sia stato un bambino è un pensiero che ci tocca immediatamente. Con la Pasqua è diverso: in questo caso Dio non è entrato nella nostra vita abituale, ma, tra i suoi confini, ha aperto un passaggio su un nuovo spazio posto al di là della morte a cui l’uomo di oggi non vuole nemmeno pensare. Il Figlio dell’uomo, Dio, non ci segue più, ci precede e ci fa coraggio per seguirlo. Come dice il Catechismo della Chiesa cattoli- Ambrogio Bergognone, Cristo risorto, 1490 ca., Washington, National Gallery of Art. ca (CCC n. 1085), «venuta la sua “ora” egli vive l’unico avvenimento della storia che non passa: Gesù muore (...). È un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è unico: tutti gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano (...). Il mistero pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente». Occorre perciò un rinnovato impegno pastorale che assicuri, malgrado le difficoltà dell’organizzazione del lavoro e del semplice più esteso turismo pasquale, una maggiore partecipazione dei fedeli alla liturgia del triduo pasquale. La Pasqua sottolinea i punti di inserzione del mistero cristiano nella tradizione della Pasqua ebraica. La parola ebraica «pasqua» viene tradotta «passaggio». Di quale passaggio si tratta? Nella Pasqua ebraica come in quella cristiana si parla di un evento storico che ha come protagonista Dio stesso, e del suo significato allegorico. «Pasqua della storia, tesa verso il futuro, presso gli ebrei; presso i cristiani, Pasqua compiuta nella morte e nella risurrezione di Cristo, anche se ancora in attesa di definitiva consumazione» (CCC n. 1096). Nella Pasqua ebraica l’evento storico commemorato è la liberazione del popolo di Israele dalla 271
Pelaez Pasqua.qxp 05/04/2011 15.57 Pagina 272 272 schiavitù in Egitto; nella Pasqua cristiana si commemora il passaggio di Cristo, Figlio di Dio che discese dal Cielo, passò in mezzo agli uomini facendo del bene, fu crocifisso, risorse ed è asceso in Cielo. In entrambe le pasque il significato allegorico consiste nel passaggio dell’uomo dalla schiavitù dei vizi alla libertà della virtù. «Schiavi fummo in Egitto» I giudei celebravano la Pasqua istituita da Mosè (Es 12) come la festa più grande dell’anno. Commemoravano il giorno della partenza dalla schiavitù in Egitto quando ogni famiglia nella propria casa, aveva immolato, per ordine di Yahvé, un agnello. L’unzione degli stipiti delle porte con il sangue dell’agnello aveva ottenuto loro grazia, quando l’angelo aveva sterminato, di notte, tutti i primogeniti degli egiziani. Soltanto così essi avevano potuto abbandonare la terra della schiavitù, passare a piedi asciutti il mare, e partire per la Terra promessa. Ogni anno, di generazione in generazione, i genitori narrano ai figli il significato della festa di Pasqua come memoria dell’evento che tiene unito non solo etnicamente, ma soprattutto religiosamente il popolo di Israele. Durante la cena pasquale il figlio doveva rivolgersi al padre dicendo: «Perché diversa è questa notte da tutte le notti? Infatti tutte le notti noi mangiamo lievitato e azzimo; questa notte tutto quanto azzimo». Il padre rispondeva: «Schiavi fummo in Egitto del faraone, e il Signore Dio nostro ci fece uscire di là con mano forte e braccio disteso». La celebrazione della Pasqua tiene viva la memoria identitaria del pio israelita il quale, educato religiosamente, è reso consapevole della sua dignità di uomo libero, di essere proprio lui uscito dalla schiavitù in Egitto. La liberazione non riguarda il passato, è un avvenimento che continua ora e sempre a esercitare il suo influsso. Tutto il cristianesimo è realizzazione del mistero pasquale. La morte e la risurrezione di Cristo sono i momenti più solenni della nostra redenzione. La passione di Cristo è stata raffigurata dal popolo ebraico quando ha ricevuto l’ordine di contrassegnare le porte delle casa con il sangue dell’agnello. Il mondo è oppresso dal peccato, il giudizio deve colpire i peccatori, ma Dio risparmia quanti sono segnati con il sangue di Cristo. Distrutto il peccato in virtù di Cristo, il battesimo genera l’uomo nuovo (l’unzione fatta sulla fronte del battezzando mette in fuga il demonio). Questo segno visibile opera un effetto invisibile. Lo Spirito è disceso in colui che è stato contrassegnato sulla fronte come su una porta: sigillo della croce, sigillo dello Spirito. Dal costato squarciato di Cristo l’evangelista Giovanni vide uscire sangue e acqua. È Gesù che dà la sua vita umana, versando il suo sangue. E nello stesso istante ci sommerge con la sua vita divina, di cui l’acqua è il simbolo. Tutti i sacramenti, come altrettanti canali di grazia, sono usciti dal mistero pasquale. La cosa appare evidente in quell’acqua, sacramento del battesimo, e in quel sangue, sacramento dell’eucaristia istituito il Giovedì santo durante il banchetto pasquale, che sgorgano dal costato di Cristo appeso alla croce. L’iniziazione alla vita cristiana, l’ingresso nella famiglia di Dio che è la Chiesa, si realizza nella notte di Pasqua ricevendo i sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’eucaristia, perciò la liturgia dell’iniziazione della veglia pasquale è piena di reminiscenze della schiavitù in Egitto e dell’esodo del popolo d’Israele. Cristo è ora l’agnello sacrificato per i nostri peccati. Colui del quale parla la Pasqua cristiana, Gesù Cristo, è realmen- te «sceso nel regno dei morti». Egli ha risposto – è stato autorevolmente detto – alla richiesta del ricco Epulone: «manda su qualcuno dal mondo dei morti, così noi crederemo» (cfr Lc 16, 27 ss.)! Egli è il vero Lazzaro, è venuto di qua affinché noi credessimo. Non giunse portando emozionanti descrizioni dell’Aldilà. Ci ha detto invece che «prepara delle dimore» per noi (Gv 14, 23). Nell’attesa che gli uomini possano attraverso la morte, ricongiungersi con Cristo, ogni ricorrenza della Pasqua vuole immettere sempre più ognuno di noi e l’umanità intera nel mistero cristiano, mistero di morte al peccato mediante il sacramento della penitenza riconciliatrice e di risurrezione a una vita nuova nutrita dall’eucaristia. Un banchetto per tutte le genti Il famigliare banchetto pasquale è stato considerato dal giudaismo come figura del Regno a venire, come festino messianico. Daniélou (Bibbia e liturgia, Milano 1959, pp. 204 ss.) ha sottolineato come nei conviti evangelici di Gesù, oltre che segnare l’avvento dei tempi messianici, si esprimano profondi significati di intimità sociale con tutti gli uomini, anche con pubblicani e peccatori (cfr Lc 7, 33-34). Ciò che costituisce il carattere essenziale del convito evangelico in rapporto al banchetto ebraico è l’essere aperto a tutte le genti. Se ciò vale per i banchetti di Cristo, vale anche per l’eucaristia, mistero pasquale, di cui quei conviti erano la figura. La cena pasquale consumata da Cristo con i suoi discepoli prima della Passione, istituzione dell’eucaristia, è una riunione di famiglia figura del banchetto messianico cui Cristo invita i suoi nel Regno del Padre: «Ho ardentemente desiderato di mangiare questa Pasqua… prima di soffrire... non ne mangerò più
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