clericetti aprile.qxp 06/04/2011 10.10 Pag<strong>in</strong>a 295 INQUIETOVIVERE di Guido Clericetti 295
morra biffi.qxp 06/04/2011 10.12 Pag<strong>in</strong>a 296 296 RISORGIMENTO Quale unità d’Italia? Mentre con la festa non-festa del 17 marzo, stancamente e anche litigiosamente si sono concluse le celebrazioni del 150° anniversario della cosiddetta «Unità d’Italia», un utile elisir depurativo ci è venuto dal card<strong>in</strong>ale Giacomo Biffi. Che non poteva non dire la sua sul Risorgimento, dato che si ritiene prima italiano e poi card<strong>in</strong>ale. E la dice con il suo stile: sobrio ed elegante quanto deciso e graffiante. Tanto che i giornali dell’<strong>in</strong>telligenza laica, Repubblica e Corriere della sera, lo hanno subito «beccato», facendogli <strong>in</strong>dossare i panni di un reazionario e cod<strong>in</strong>o. Che proprio non è. Leggere per credere: L’unità d’Italia (Cantagalli, Siena 2011, pp. 88, euro 8). Scritto da un uomo di Chiesa, ma profondamente laico nell’animo e nelle f<strong>in</strong>alità. La laicità non nasce con Cavour, ma con Gesù Cristo, che ha dist<strong>in</strong>to religione e politica. Una laicità che niente ha <strong>in</strong> comune con quel clericalesimo capovolto, che è il «laicismo». Una laicità religiosa, dunque, che ci richiama alla tradizione cattolica del nostro Paese, senza la quale niente è più comprensibile. Il laicismo, del resto, ha avuto una vita breve. Nel Settecento ha cercato di ridurre la religione a morale (Kant), nell’Ottocento l’ha dissolta nella socialità (Mazz<strong>in</strong>i), nel Novecento l’ha distrutta <strong>in</strong> un pensiero debole per il quale «si può, <strong>in</strong> nome della parità di tutti i conv<strong>in</strong>cimenti e di tutte le fedi, elim<strong>in</strong>are da ogni ambiente e da ogni consuetud<strong>in</strong>e sociali i segni della tradizione cristiana» (p. 78). Non abbiamo, per fortuna, una «religione civile», che sarebbe totalitarismo, ma purtroppo neppu- re quella «religione nel civile», che altre Nazioni, a partire dagli Stati Uniti, posseggono. Biffi prende come punto di partenza una dist<strong>in</strong>zione fondamentale, quella fra Nazione e Stato. La Nazione è un sistema di legittimazione spirituale, è un <strong>in</strong>sieme di valori e di tradizioni (religione, filosofia, cultura, arte, costume): «il complesso di persone che hanno <strong>in</strong> comune l’orig<strong>in</strong>e, la storia, la l<strong>in</strong>gua, la civiltà» (p. 46). Lo Stato è una organizzazione giuridica per f<strong>in</strong>i di ord<strong>in</strong>e e difesa, «che detiene un monopolio riconosciuto dell’azione politica, prende decisioni di fatto v<strong>in</strong>colanti per tutti, esercita l’autorità legislativa e giudiziaria sulla collettività, usa legittimamente il potere coercitivo» (p. 47). Ci sono Stati con più Nazioni (come la Svizzera) e Nazioni con più Stati (i tedeschi, <strong>in</strong> Germania, Austria e Südtirol, dove non hanno celebrato l’unità dello Stato italiano). La Nazione-Italia è nata molto prima La Nazione-Italia l’unità l’aveva da tempo, non c’era bisogno del «Risorgimento» per conquistarla. Anche se divisa, era considerata una e ammirata per la sua cultura. Ora entrambe le cose sono necessarie: la Nazione, «una d’arme, di l<strong>in</strong>gua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor» (Manzoni), e anche lo Stato, che unito è più forte e può produrre maggiore benessere. Biffi non ha alcuna nostalgia per la divisione della Penisola <strong>in</strong> sette Stati. Ma ecco il «busillis». In effetti si trattò dell’occupazione di sei Sta- ti da parte del settimo, il Regno di Sardegna. Tanto che il suo re mantenne pari pari il titolo «Vittorio Emanuele <strong>II</strong>». L’Italia unita ha avuto dunque un secondo re, senza avere avuto il primo. Quale unità, dunque? La risposta è nella nota frase di D’Azeglio: Italia fatta, italiani disfatti. Come dire: Stato unitario (non unito!), italiani tutti da fare. Purtroppo è la realtà: scarsissima partecipazione popolare al Risorgimento, mancanza di sentimento nazionale e civile, costume morale sempre più disperso e <strong>in</strong>certo, accentuazione del divario tra Nord e Sud, stanche celebrazioni, paradossalmente accompagnate da critiche, accuse e recrim<strong>in</strong>azioni. La Stato cercò a lungo di sostituire una cultura, quella cattolica, con un’altra. Era gestito da laicisti <strong>in</strong>tolleranti, che tenevano fuori i cattolici da tutti i centri di potere. Ma questo tentativo è fallito, <strong>in</strong> quanto le radici della religione erano troppo evidenti nella nostra storia (anche nel Risorgimento, al quale tanti cattolici hanno contribuito: da Gioberti a Rosm<strong>in</strong>i, da D’Azeglio a Manzoni, da Pellico a Balbo e M<strong>in</strong>ghetti). Qui non c’entra lo Stato pontificio. C’entra la tradizione, <strong>in</strong>tellettuale e morale, del cattolicesimo: «Nessuno può essere culturalmente italiano, quali che siano le sue appartenenze religiose e le sue op<strong>in</strong>ioni, se non fa spazio nel suo mondo <strong>in</strong>teriore, almeno culturalmente, al cattolicesimo quale fonte e ragione della nostra identità» (p. 63). Questo breve saggio di Biffi, contrariamente a quanto ne pensano i padroni del vapore giornalistico,
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