Gaio Valerio Catullo &“Lesbia” - Taranto in cartolina

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VIII. Resistere! Resistere! Resistere!
Misero Catullo, smetti d’impazzire:
e ciò che vedi esser perso consideralo perduto.
Una fiammata di gioia un tempo i tuoi giorni
quando ti precipitavi dove lei, l'anima tua voleva,
amata come amata non sarà nessuna:
Lì, quando si compivano quei tanti giochi d’amore,
che tu volevi né lei non voleva,
davvero ti rifulsero candidi soli.
Ora lei non vuole piú: e tu pure, coraggio, non volere,
non inseguirla, come un miserabile, se fugge,
ma con tutta la tua volontà sopporta, non cedere.
Addio, ragazza. Catullo ormai resiste,
non verrà a cercarti, né ti pregherà più se tu rifiuti:
e tu rimpiangerai di non essere più pregata.
Malvagia, guai a te, che vita ti rimane?
Chi ti avvicinerà ora? A chi sembrerai carina?
Chi ora amerai? Di chi dirai di essere?
E chi bacerai? A chi le labbra morderai?
Ma tu, Catullo, ostinato resisti.
LXXXVII. Nessuna al mondo fu così amata…
… Nessuna donna può dirsi tanto amata
davvero, quanto la mia Lesbia è stata amata da me.
Nessuna lealtà fu mai tanta per alcun patto,
quanta se ne vide in me nell’amore che ti portai.
Nulla potest mulier tantum se dicere amatam
vere, quantum a me Lesbia amata mea est.
nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta,
quanta in amore tuo ex parte reperta mea est.
Miser Catulle, desinas ineptire,
et quod vides perisse perditum ducas.
fulsere quondam candidi tibi soles,
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
ibi illa multa cum iocosa fiebant,
quae tu volebas nec puella nolebat,
fulsere vere candidi tibi soles.
nunc iam illa non vult: tu quoque
impotens noli,
nec quae fugit sectare, nec miser vive,
sed obstinata mente perfer, obdura.
vale puella, iam Catullus obdurat,
nec te requiret nec rogabit invitam.
at tu dolebis, cum rogaberis nulla.
scelesta, vae te, quae tibi manet vita?
quis nunc te adibit? cui videberis bella?
quem nunc amabis? cuius esse diceris?
quem basiabis? cui labella mordebis?
at tu, Catulle, destinatus obdura.
LXXVI. Supplica agli dei per la guarigione da una malattia che logora anima e corpo.
È difficile troncare una lunga passione:
è difficile, ma ci devi riuscire in qualche modo.
Questa è la sola salvezza, questa la tua vera vittoria;
ma questo fallo, possibile o impossibile che sia.
O dèi, se è vostro compito avere pietà , e se mai offriste
ad alcuno nell’ora della morte un estremo soccorso,
guardate me infelice, e se ho vissuto onestamente,
strappatemi a questo male che mi consuma
che insinuandosi in me come torpore nel fondo delle membra
ha scacciato la gioia dal profondo del mio animo.
Non chiedo già che lei invece ricambi il mio amore,
o, cosa impossibile, che voglia essere onesta;
desidero guarire e liberarmi da questa crudele malattia,
O dèi, accordatemi questo, per la mia devozione.
Difficile est longum subito deponere amorem:
Difficile est, verum hoc qua lubet efficias.
Una salus haec est, hoc est tibi pervincendum:
Hoc facias, sive id non pote sive pote.
O di, si vestrum est misereri, aut si quibus umquam
Exstremo iam ipsa in morte tulistis opem,
Me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,
Eripite hanc pestem perniciemque mihi,
Quae mihi subrepens imos ut torpor in artus
Expulit ex omni pectore laetitias.
Non iam illud quaero, contra ut me diligat illa,
Aut, quod non potis est, esse pudica velit:
Ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum.
O di, reddite mi hoc pro pietate mea.
La musa Calliope suona la lira sulle rocce del monte Elikon (scritta
dietro i talloni). Ai suoi piedi un uccellino ascolta la melodia.
Lekythos – ca. 445 a.C. – Antikensammlungen Monaco - Germania