Gaio Valerio Catullo &“Lesbia” - Taranto in cartolina

“draco”
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“ascia”
“tiara”
“culullus"
“aspergillum”
Denario d’argento coniato con il nome “Cesare” senza consenso senatoriale, al ritorno dalla vittoriosa campagna di
Gallia [presumibilmente a Mediolanum (Milano)], prima che G. Giulio varcasse il Rubicone (11 Febbraio del 49, ossia
cinque anni dopo la scomparsa di Catullo). Una sfida aperta alle istituzioni repubblicane! La zecca mobile al seguito del
condottiero emise monete analoghe nel biennio 49 – 48 a. C. per retribuire lo stipendium ai legionari, e più in generale
per far fronte alle spese di guerra.
Nel recto, in esergo, si legge CAESAR. Un elefante (in lingua punica “caesar”…) si appresta ad attaccare un
drago. Risulta evidente l’impianto allegorico dell’affermazione del bene sul male. Nel verso sono visibili gli
emblemi sacrali del Pontifex Maximus, carica ricoperta da Cesare al momento della coniatura: “culullus”, tazza
per bere; “aspergillum”, l’aspersorio; “ascia”, l’ascia per immolare gli animali sacrificali alle divinità; “tiara”, il
copricapo da portare durante il cerimoniale. Qualche tempo dopo il Senato, mostrando buon viso a cattivo gioco,
accorderà al potente uomo di Roma privilegi alla pari di un monarca. A Cesare fu infatti concesso l’onore perenne
di fregiarsi dei paludamenti del trionfatore: il mantello di porpora e l’alloro. Il quinto mese dell’antico anno prese
il suo nome (Luglio=Giulio) e gli fu eretta una statua nel tempio di Quirino, dio delle armate romane in tempo di
pace. Per di più poté sedersi su un trono aureo, e addirittura raffigurarsi sulle unità monetarie alla maniera dei
regnanti ellenistici. In tal modo veniva ad essere clamorosamente cancellata la rigida regola repubblicana di
tenere la moneta al di fuori di ogni influenza politica. Siffatta pretesa di vanità e totalizzante autosponsorizzazione
diventerà in seguito appannaggio di tutti gli imperatori romani, perdurando sino alla estinzione dell’Impero. Oltre
al titolo di Pontifex Maximus e di Imperator (“Colui che regna in assoluto sull’Impero e Comandante in Capo
dell’Esercito di Roma”), costoro pretenderanno l’iscrizione della denominazione “Caesar” su ogni esemplare di
emissione monetale inerente al periodo di reggenza, ovverosia “Nobile, di grande dignità e degno di lode”.
Ma quale fu l’atteggiamento di Cesare nei confronti del godereccio scapestrato della Roma abbiente?!
Sembra che Gaio Giulio tendesse volutamente ad ignorare le sue maligne frecciatine in versi (Quintiliano, Inst.,
11,1,38) non reputandolo in alcun modo in grado di ostacolare la sua prestigiosa ascesa politico-sociale con il
solo ausilio della vis poetica. E non esistono elementi probatori per non pensare che egli lo considerasse una
simpatica canaglia dallo stile proclive alla “espressione lirica popolare” poco ossequiosa; una ventata di
dissacrante novità, in fin dei conti, introdotta dal poeta nuovo 76 nella Urbs dei conservatori dalla rigida morale
comune (… rumoresque senum severiorum - Carmina, V, 2). Catullo, in buona sostanza, era la prova evidente
dei processi di trasformazione in corso nella vecchia repubblica ormai al tramonto. Egli rappresentava l’uomo
nuovo nel campo letterario. Progressista, mordace, spregiudicato e intellettualmente attivo, proprio come
Cesare in quello politico. L’alter ego del futuro autocrate, insomma. Il tono caustico di altri versi lasciano
76 Un poeta del genere non è impegnato in valori civili o politici. Scrive per otium, ovvero per il piacere di svolgere un’attività intellettuale.
La poesia diviene divertimento. I Neoteroi rifiutano i componimenti lunghi e le ampollose composizioni mitologiche, consapevoli della
eleganza di un manufatto poetico breve. Si privilegia così la concisione. I Poetae Novi hanno il culto per la bellezza formale, per la parola
cesellata. Il labor limae è dimostrazione di grande competenza linguistica e mitologica. Il mito rappresentato nella composizione poetica
funge da velo da cui traspaiono i sentimenti del suo creatore.