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"Il libro delle vergini" di Gabriele D'Annunzio - Altervista

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profumo seguiva il fruscìo <strong>di</strong> Vinca sopra i pavimenti <strong>di</strong><br />

mosaico antico, a traverso le stanze piene <strong>di</strong> legno scolpito e <strong>di</strong><br />

tappezzerie sfiorenti.<br />

Accanto a quella donna, Galatea prima si sentì presa come<br />

da uno stor<strong>di</strong>mento; poi come una irritazione sorda l'assaliva<br />

contro quella mobilità nervosa, contro quelle onde acri <strong>di</strong> odore<br />

che a lei davano la nausea, contro quelli scoppî <strong>di</strong> risa che a lei<br />

ferivano i timpani acutamente. Ella avrebbe voluto ribellarsi a<br />

certe furie <strong>di</strong> baci, a certe carezze vivaci, a certe lusinghe<br />

svenevoli.<br />

– Bambola bella! – sussurrava spesso Vinca, a denti stretti,<br />

a labbra aperte, con un piccolo vezzo felino, mentre serrava la<br />

tempia della fanciulla tra le palme e l'attirava alla bocca.<br />

– No; non mi chiamate più così, zia, vi prego – ruppe una<br />

volta Galatea, con un lieve tremito d'ira nella voce.<br />

– Bambola bella! – ripeté Vinca. E gittò all'aria una <strong>di</strong><br />

quelle fresche risate scampanellanti, abbandonata su 'l <strong>di</strong>vano<br />

con tutta la persona, in un atteggiamento provocatore. Su 'l<br />

<strong>di</strong>vano il sole, entrando dalla finestra, rinvermigliava i fiorami<br />

<strong>di</strong> seta smorti nel vecchio tessuto <strong>di</strong> argento: e da quel fondo<br />

emergeva il bel corpo femineo chiuso nell'abito <strong>di</strong> casimiro,<br />

avvolto nel pulviscolo dei raggi. Era un quadro <strong>di</strong> tinte dolci;<br />

dalla parete pendeva un arazzo scolorito ove due cavalieri<br />

inseguivano una cerva fuggiasca. Vinca rideva: le risa nel sole<br />

pareva brillassero. Quando apparve su la soglia Cesare:<br />

– Entrate, dottore, entrate – esclamò la zia, ergendosi e<br />

tendendo le mani verso il giovine. – Placate Galatea, per carità!<br />

Ma la fanciulla ora sorrideva sottilmente. Cesare, senza<br />

volere aspirò il profumo fine <strong>di</strong> violetta che si insinuava per<br />

l'aria, il profumo stesso della lettera con le cicogne: al senso del<br />

piacere le narici gli trepidarono. Egli veniva dal tanfo grave dei<br />

volumi tarlati, dal silenzio della biblioteca ove il richiamo <strong>delle</strong><br />

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