"Il libro delle vergini" di Gabriele D'Annunzio - Altervista
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vista del pomo. Era la fame canina della convalescenza del tifo,<br />
quella terribile avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> nutrimento vitale in tutte le cellule del<br />
corpo impoverite dal lungo malore. Una scarsa onda <strong>di</strong> sangue<br />
restava a pena circolante pei tessuti; nel cervello debolmente<br />
irrigato ogni attività ristagnava come in un machina a cui la<br />
forza motrice del liquido <strong>di</strong>fetti. Soltanto, in quella materia<br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente ora si producevano certe vibrazioni<br />
determinanti certi arti che nella vita anteriore erano abituali; né<br />
<strong>di</strong> quel lavorìo meccanico aveva la convalescente coscienza.<br />
Ella per lo più <strong>di</strong>ceva ad alta voce le letanie; <strong>di</strong>videva in sillabe<br />
parole senza senso; minacciava punizioni a <strong>di</strong>scepoli; cantava le<br />
strofe quinarie <strong>di</strong> un inno a Gesù. Aveva per lo più nell'in<strong>di</strong>ce<br />
della mano sinistra un moto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazione scorrente su l'orlo del<br />
lenzuolo, come se ella con quel segno guidasse l'occhio dei<br />
<strong>di</strong>scepoli su le righe del <strong>libro</strong>. Poi, talvolta, la sua voce si<br />
sollevava, prendeva una solennità quasi minacciosa,<br />
pronunciando le ammonizioni <strong>delle</strong> sette trombe, ricordando<br />
confusamente le parole <strong>di</strong> fra Bartolomeo da Saluzzo ai<br />
peccatori, avendo forse nelli occhi stupefatti la visione <strong>di</strong> quelle<br />
vecchie stampe impresse dal legno piene <strong>di</strong> deformi angeli<br />
tubanti e <strong>di</strong> demonii debellati. Ma nelli occhi non mai aveva uno<br />
sguardo. Le palpebre pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride<br />
senza colore spersa nella sclerotica che pareva come velata da<br />
un muco giallastro. Ella stava nel suo letto <strong>di</strong>stesa, con il capo<br />
su due guanciali. Quasi tutti i capelli le erano caduti nella<br />
malattia; un pallor terreo, <strong>di</strong> quei pallori sotto cui pare non<br />
anche possa rimanere la vita, le occupava la faccia, le cavità<br />
della faccia; e il teschio ne traspariva e da tutta la restante<br />
aridezza della pelle lo scheletro traspariva, e intorno a tutto<br />
quell'ossame nei punti <strong>di</strong> pressione sul letto i tessuti aderenti<br />
degeneravano. Solo, un'immensa fame animava quella rovina,<br />
torturava gl'intestini ove le ulceri tifose si cicatrizzavano<br />
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