CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot
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e; ma la matrice di questo interesse è il diritto alla vita, perchè se questo diritto viene negato<br />
anche l’interesse a non soffrire non ha alcun senso.<br />
Anche ammettendo che in alcuni casi la vita degli animali possa essere sacrificata in<br />
funzione di interessi umani ritenuti prevalenti, tuttavia si tratta di eccezioni da applicare in<br />
maniera assolutamente restrittiva e tassativa, al di fuori delle quali si riespande il diritto alla vita<br />
di qualunque essere vivente.<br />
L’art. 727/I comma deve quindi essere interpretato nel senso di considerare sempre<br />
punita l’uccisione ingiustificata di animali: con la pena base, oppure con la pena aggravata ove<br />
si provi che la morte è derivata da un precedente maltrattamento.<br />
Il coordinamento con la legislazione speciale<br />
Il II comma dell’art. 727 prevede che il reato di maltrattamento è aggravato se è commesso<br />
nell’ambito del traffico, del commercio, del trasporto, dell’allevamento, della mattazione<br />
o di uno spettacolo di animali.<br />
Si tratta delle principali attività che prevedono l’utilizzazione di animali; attività che<br />
dunque sono di per sé lecite, anche se leggi specifiche ne impongono l’esercizio con particolari<br />
modalità, al fine di ridurre al minimo la sofferenza degli animali. Siamo quindi su un piano<br />
diverso: il maltrattamento non deriva da crudeltà gratuita, ma dalla violazione delle modalità di<br />
esercizio di attività lecite.<br />
Prima della riforma dell’art. 727 era dubbio se la violazione di queste norme potesse<br />
rientrare nel reato di maltrattamento; adesso si è creato un importante punto di raccordo tra la<br />
norma generale e le discipline di settore.<br />
La conseguenza di questo raccordo è che risulta notevolmente ampliata la sfera dei<br />
comportamenti punibili in base all’art. 727: questo comprende cioè, oltre alle crudeltà gratuite,<br />
anche tutte quelle violazioni che riguardano soltanto le modalità di esercizio di un’attività lecita.<br />
Non solo, ma in questi casi, a differenza delle ipotesi previste dal I comma, l’applicabilità<br />
dell’art. 727 non dovrebbe richiedere alcun accertamento in concreto circa la sofferenza<br />
arrecata all’animale, poiché questa dovrebbe ritenersi presunta. Infatti, la valutazione circa l’idoneità<br />
ad arrecare sofferenza è stata già fatta nel momento in cui sono state individuate quelle<br />
modalità di trattamento degli animali (ad es. le dimensioni minime delle gabbie, le tecniche<br />
di macellazione; ma sebbene non siano richiamate, lo stesso vale per le norme in materia di caccia<br />
e di sperimentazione); modalità che sono determinate appunto dall’esigenza di circoscrivere<br />
la sofferenza alla soglia minima che risulti assolutamente indispensabile e inevitabile. È evidente,<br />
quindi, che la violazione di queste prescrizioni minime è di per sé idonea a cagionare sofferenza.<br />
Il fatto che in tutti questi casi sia superflua la prova della sofferenza, è un dato che<br />
dovrebbe contribuire non poco alla valorizzazione dell’art. 727.<br />
Eppure, come si è anticipato, questa norma è scarsamente efficace. Nonostante che ad<br />
essa possa riconoscersi un ambito di applicabilità potenzialmente molto ampio, essa viene<br />
applicata raramente, e soprattutto non esercita quel potere dissuasivo che normalmente è collegato<br />
alle norme penali e alla minaccia della pena. E se la prima ragione risiede nell’incertezza<br />
che caratterizza la nozione di maltrattamento, la seconda ragione deve essere individuata nell’inadeguatezza<br />
dell’apparato sanzionatorio.<br />
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