CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot
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[…]. Negli esempi più antichi la parte edificata è opposta o perpendicolare alla strada, sulla<br />
quale non ha aperture, ed è in comunicazione con la corte tramite un portico sormontato da una<br />
loggia, nella quale si trova la scala […]. Il pianoterra di queste case era adibito a deposito, ricovero<br />
degli animali e ambiente di lavoro; il primo piano serviva per l’abitazione vera e propria e<br />
il secondo, più basso degli altri, era utilizzato come granaio […]. L’eredità della domus è presente,<br />
oltre che nell’impianto a corte, nella chiusura verso l’esterno e nel sistema portico-loggia-corte<br />
che svolge un ruolo analogo all’atrio e al peristilio della casa romana” (Di Cristina e<br />
Donatini, 1979, p. 156).<br />
La ‘casa a corte’ non è espressione solo della grande azienda capitalistica padana e non si presenta<br />
solo con configurazione ‘chiusa’, soprattutto nelle aree di bonifica più recente. Infatti,<br />
essa si ritrova pure in aree organizzate con la piccola azienda diretto-coltivatrice in proprietà o<br />
in affitto ed enfiteusi o a mezzadria (come nell’alta pianura padana tra il Canavese e l’arco<br />
morenico gardesano, nella pianura friulana e nella piana di Lucca, dove tali aggregati sono od<br />
erano costituiti da varie dimore monofamiliari), oltre che in aree meridionali incentrate su grandi<br />
imprese cerealicolo-pastorali estensive (come nella Terra di Lavoro e negli altopiani della<br />
Sicilia orientale) (Gambi, 1964).<br />
La varietà tipologica straordinaria delle case contadine e dei centri aziendali tradizionali che<br />
sono pervenuti all’attualità riflette non solo i modelli culturali generali, con le specificità stilistiche<br />
e ornamentali o le tradizioni popolari locali dei diversi periodi nel lungo periodo storico<br />
che va dal Medioevo (essenzialmente dal XII secolo) all’età contemporanea (Comba, 1985), ma<br />
esprime anche i diversi rapporti di lavoro, i diversi contesti economici e le diverse funzioni<br />
sociali riferibili alle strutture rurali rappresentate.<br />
Questo intreccio fra i caratteri culturali, da una parte, e le organizzazioni socio-economiche e<br />
produttive, dall’altra, è sempre identificabile – pur tenendo conto dei ‘condizionamenti’ e degli<br />
‘adattamenti’ ai connotati ambientali dei luoghi (clima, rilievo, disponibilità di materiali da<br />
costruzione) – in primo luogo nella gamma assai articolata delle case sparse della mezzadria,<br />
ma anche in quelle – vuoi isolate e vuoi riunite in piccoli agglomerati e in veri e propri villaggi<br />
– della piccola proprietà coltivatrice, nate ‘spontaneamente’ (nella montagna alpina e in quella<br />
appenninica, nell’alta pianura padana e nelle colline che vi digradano dagli anfiteatri montani,<br />
nei ‘giardini’ meridionali, nello spazio agro-pastorale sardo, nei lembi dell’orticoltura-floricoltura<br />
e del vivaismo che punteggiano alcune aree irrigue del Centro-Nord); oppure create in<br />
tante aree pianeggianti e collinari del paese dall’azione pianificata delle bonifiche o delle riforme<br />
agrarie dei tempi contemporanei.<br />
Come ciascuno sa, la più grande azione pianificata dello spazio agrario – dopo quella romana<br />
– è stata prodotta dal governo italiano nel 1950 con l’assegnazione di terre ad oltre 100.000 coltivatori<br />
diretti e con la costruzione di quasi 50.000 casette rurali sparse ad uno o due piani che<br />
(che si appoggiavano ovunque a qualche borgo di servizio, ma si aggregavano in qualche decina<br />
di borgate rurali in Sicilia e in Sardegna) rispondono a pochi modelli standardizzati di estrema<br />
semplicità costruttiva e funzionale e di grande economicità. Assai meno conosciute sono<br />
invece quelle poche esperienze di colonizzazione prodotte dai governi pre-unitari (raramente<br />
anche da grandi proprietari privati come Alvise Mocenigo che nel 1790 creò Alvisopoli nel<br />
Veneto e il marchese Nunziante che nel 1823 fondò San Ferdinando nell’agro di Rosarno in<br />
Calabria) (Barberis, 1999, pp. 304 e 309), nei secoli XVIII-XIX, a coronamento dei loro interventi<br />
di bonifica: è il caso dei cinque villaggi di Orta, Ordona, Stornara, Stornarella e Carapelle<br />
edificati dai Borboni nella campagna di Foggia negli anni ’70 del XVIII secolo, con tanto di<br />
concessione di lotti di terra ai nuovi abitanti, per popolare un latifondo gesuitico espropriato, e<br />
del villaggio di San Ferdinando di Puglia edificato a sud di Manfredonia da Ferdinando IV di<br />
Borbone nella bonifica Trinitapoli e delle saline di Barletta (oggi Margherita di Savoia)<br />
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