CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot
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AMBIENTE, STORIA E PAESAGGIO. <strong>PER</strong> IL ‘RICONOSCIMENTO’ E L’IN-<br />
TERPRETAZIONE DEI BENI PAESISTICI E ARCHITETTONICI ODIERNI<br />
DEFINITISI TRA TEMPI ANTICHI E CONTEMPORANEI*<br />
Leonardo Rombai - Associazione Italia Nostra<br />
Il mosaico ambientale italiano<br />
Lo studioso che oggi – più o meno come nel passato – vuole provvedere ad una ‘regionalizzazione’<br />
dell’ambiente italiano peninsulare e insulare, che è circoscritto da quelle nette linee di<br />
demarcazione (che non hanno mai costituito vere e proprie ‘barriere’ per l’uomo), di ordine fisico-naturale,<br />
che sono rappresentate dalla catena orografica alpina e dal mare Mediterraneo, non<br />
può non rifarsi alla tradizionale classificazione della geografia (Touring Club Italiano, 1957).<br />
Questa è stata accolta di recente pure da Lucio Gambi, che scompartisce la realtà ambientale<br />
italiana in quattro grandi “inquadramenti”, o unità di contenuto paesistico, che – pur con tutte<br />
le altre specificità di portata locale (come i coni vulcanici, le conche crateriche, gli ambienti<br />
tufacei) (Federici, 2000, pp. 24-25) – emergono dal coesistere e dal congiungersi in una medesima<br />
area di fenomeni dovuti a elementi diversi come il clima e la vegetazione, la morfologia e<br />
la idrografia”.<br />
E’ il caso dell’ambiente “della regione alpina”, dell’ambiente “della vasta pianura usualmente<br />
chiamata padana (il Po ne è solo il maggior fiume, ma diverse zone si riferiscono a bacini idrografici<br />
indipendenti)”, dell’ambiente “montano che forma l’asse del rilievo peninsulare e invade<br />
qualche cacumine nella Sicilia nord-orientale”, dell’ambiente “peninsulare e insulare subtropicale”<br />
(Gambi, 1972, p. 7; v. pure Federici, 2000).<br />
E’ poi scontato che ciascuna di tali ‘regioni’ fisico-naturali possa scindersi anche in due o più<br />
grandi ‘forme paesistiche’, e a sua volta ciascuna forma possa abbracciare molti ‘tipi di paesaggio’.<br />
In una sua classica opera del 1963 dedicata alle molteplici forme dei paesaggi italiani, un altro<br />
geografo, Aldo Sestini, integrando i fattori geomorfologici con quelli climatici e vegetazionali,<br />
ma considerando pure i fattori antropogeografici (comprensivi della storicità degli usi consolidati<br />
del territorio), arriva addirittura a distinguere e descrivere in dettaglio rispettivamente 9<br />
grandi ‘forme’ e 99 ‘tipi di paesaggio’ (Sestini, 1963).<br />
Tra l'altro, Sestini, con la sua ben nota classificazione, ha il merito di aver offerto un contributo<br />
concreto al problema del riconoscimento di unità territoriali o ‘di paesaggio’ significative,<br />
pratica oggi divenuta centrale nella riflessione delle discipline del territorio svolta con finalità<br />
di pianificazione ambientale, paesistica e urbanistica.<br />
In tale contesto, di recente, Albano Marcarini, pur con la premessa che “il paesaggio sfugge a<br />
precise catalogazioni, a ogni tentativo di scomposizione e sintesi”, ha proposto un elenco di 76<br />
tipi “in cui la componente umana e la sedimentazione storica hanno prodotto sul palinsesto<br />
naturale un’armonia di forme e strutture generalmente condivisa, meritevole di conservazione<br />
e trasmissibilità”. L’elenco è consapevolmente incompleto, ma in generale costituisce un contributo<br />
apprezzabile al ‘riconoscimento’ del mosaico delle piccole specificità paesistiche italiane,<br />
molte delle quali abbisognano di urgenti interventi di restauro e riqualificazione, pena il<br />
rischio pressoché sicuro di una più o meno prossima dissoluzione.<br />
Tra queste realtà, spiccano le “fasce delle riviere liguri” (con la rete dei muretti a secco per trattenere<br />
il prezioso suolo agrario di colline precipiti), “il paesaggio vetero-industriale delle valli<br />
fluviali di pianura” specialmente dell’alta Padania, i resti sempre meno evidenti delle “centuriazioni<br />
romane” e delle “piantate padane”, “delle selve castanili” appenniniche e delle ‘sugge-<br />
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