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CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot

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nuovi tipi per le attrezzature e i servizi urbani pubblici (uffici per la burocrazia dello stato, ospedali,<br />

lazzaretti, teatri, carceri, caserme, poi anche collegi e seminari, accademie, ecc.). Le opere<br />

di fortificazione non svolgono più un ruolo puramente difensivo, ma corrispondono anch’esse<br />

ad una accezione complessa della città come nucleo di potere in un sistema territoriale più<br />

vasto. In particolare, nel periodo manierista, la (ri)configurazione delle sedi del potere (abitazione<br />

del signore = corte) e lo sviluppo di nuove forme di edifici pubblici, entità statali più complesse<br />

di quelle comunali, sono forme di intervento molto emblematiche e diffuse”: lo dimostrano<br />

le realizzazioni a Firenze (la nuova reggia di palazzo Pitti e la vicina via Maggio che ne<br />

diventa l’accesso solenne e inizia a riempirsi di nuovi palazzi dell’aristocrazia e dei notabili, la<br />

riorganizzazione degli Uffizi e di piazza della Signoria, di piazza Santissima Annunziata, di<br />

palazzi, giardini e fortificazioni, ecc.) del granduca Cosimo dei Medici e dei suoi figli e successori<br />

Francesco e Ferdinando, tra gli anni ’30 del XVI e l’inizio del XVII secolo. I Medici<br />

non mancarono di applicare “gli stessi modelli politico-culturali, e quindi tipologici, anche nelle<br />

città toscane soggette a Firenze, da Arezzo a Sansepolcro, da Pistoia a Livorno (creazione di<br />

logge, mercati, uffici, palazzi di notabili, nuove fortificazioni)” (Fanelli, 1979, pp. 82-83).<br />

Particolare cura – come e ancor più che nei tempi comunali – viene ora prestata, un po’ in tutte<br />

le città maggiori, alla riorganizzazione delle strade principali secondo i canoni dettati da Leon<br />

Battista Alberti: vale a dire, con la ricostruzione di vie larghe e dritte e di incroci monumentali,<br />

per consentire la percezione prospettica immediata della dimensione urbana. Opere che vengono<br />

valorizzate da edifici notevoli (come a Firenze via della Vigna Nuova che funse un po’ da<br />

modello dopo i celebri interventi a palazzo Rucellai e alla sua loggia) e da altre componenti<br />

minori di arredo, come i panconi in pietra addossati al fronte delle abitazioni, le logge angolari,<br />

i tabernacoli, gli elementi architettonici elaborati espressamente per la parte ad altezza d’uomo<br />

delle facciate (zoccoli e finestre col davanzale su mensole e per questo dette ‘inginocchiate’),<br />

gli stemmi e le lapidi in pietra (più raramente le statue) apposti sui cantonali o sulle facciate<br />

del palazzi nobiliari, tutti motivi che avranno in seguito una grande fortuna (Di Benedetto,<br />

1979, pp. 139 e 142).<br />

Modifiche assai più incisive, che prefigurano anzi una svolta radicale, si registrano nei tempi<br />

del razionalismo e dell’ottimismo illuministico, quando gli stati imboccano – seppure con diversa<br />

coerenza e fiducia – la via delle riforme amministrative e giuridico-economiche, che porta<br />

inevitabilmente a riconsiderare il significato e l’utilità reali della qualificazione tradizionale<br />

operata (soprattutto all’interno della città, ma anche al di fuori si essa) sui grandi complessi, e<br />

“che tendono ad adeguare l’ambiente alle esigenze di rappresentazione e di esercizio pubblico<br />

del governo: da una parte regge, ville, casini reali, ma dall’altra anche ospedali e lazzaretti,<br />

dogane, caserme, mercati, fiere, magazzini, alberghi dei poveri, acquedotti”, accademie e<br />

biblioteche, teatri e musei, scuole e conservatori, insieme con opere di arredo urbano (pavimentazioni<br />

e giardini, rifacimento di facciate, illuminazione pubblica, ecc.). Tutte opere realizzate<br />

in gran copia e in modo diffuso nel territorio, anche mediante il riuso di strutture già esistenti<br />

e soprattutto rese disponibili dalle soppressioni di istituzioni ed enti religiosi, cavallereschi,<br />

assistenziali e dalle espropriazioni dei loro patrimoni (Fanelli, 1979, pp. 88-90).<br />

Ora, a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, nel moltiplicarsi dei lavori ‘utili’ per dotare<br />

città e territori dei servizi essenziali – non di rado realizzati all’insegna di una esemplare<br />

semplicità in termini costruttivi e architettonici –, oltre che per adeguare i centri urbani principali<br />

(Torino, Firenze, Roma, Napoli) ad una domanda crescente di crescita dei medesimi,<br />

“comincia a intervenire una nuova committenza: le imprese edilizie – che possono avvalersi<br />

della sempre più affermata cultura architettonica neoclassica – non sono più promosse unicamente<br />

dal principe [o dallo stato], dalla nobiltà e dal clero, ma anche da operatori che appartengono<br />

ai quadri della borghesia” (Fanelli, 1979, p. 88).<br />

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