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CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot

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l’imporsi di ordini spaziali nuovi creati da forze esterne. In un’Italia che cresceva in modo disordinato<br />

si è avuta pertanto, con la perdita del senso locale e l’alienazione dello spazio, la formazione<br />

di quella ‘nazione di stranieri’, [vale a dire] la società che ha perduto il senso del luogo”,<br />

del vicinato, del dintorno dell’abitazione, del sentimento sociale e della memoria storica.<br />

Infatti, con l’individualismo sfrenato e l’allargamento dello spazio vissuto consentito dallo sviluppo<br />

della motorizzazione privata, “non si vive più di questo rapporto tutto locale, che nella<br />

società di ieri, in molte parti d’Italia, comportava cura e rispetto per il posto dove si abitava: il<br />

cortile, la corte, la strada e l’angolo di strada, la piazza, luoghi che avevano una crosta sociale,<br />

anche se non belli, un odore di socialità, di umanità […]. Lo squallore delle nuove aree urbanizzate<br />

è rapportato in modo diretto alla perdita di questo ‘fuori’ sociale”, con la realizzazione<br />

di veri e propri ‘ghetti’ e ‘quartieri dormitorio’ con i loro nuovi ‘edifici-alveari’, o comunque<br />

con i modelli di edilizia che ripetono “schemi e tipologie di breve durata, scontate, ma alla moda<br />

e di facile acchito per le masse italiane alla ricerca di un ‘dentro’ nuovo, diverso”.<br />

A tale forme di degrado paesistico e territoriale si aggiunge poi la costituzione di un diverso<br />

modello di utilizzazione individualistica e privilegiata del territorio che è dato dalla “villa di<br />

lusso chiusa nei giardinetti ben recintati, con piscina, al di fuori o in posizione dominante rispetto<br />

alle zone di edilizia popolare, le zone dei poveri, dove tutto è cresciuto secondo le leggi della<br />

speculazione, prive di verde, di spazi per la distensione” (Turri, 1990, p. 87).<br />

In verità, “al di là di queste aree di grande mutamento che contengono le oasi storiche […] c’è<br />

un’Italia rimasta ancora fedele a quella del passato”, con i piccoli centri che esprimono ancora<br />

un sentimento municipale, con l’amore e il rispetto per le immagini che identificano un luogo<br />

o un paesaggio: un’Italia “non ingombrata dai nuovi segni che si sovrappongono tanto spesso<br />

violentemente alle immagini ereditate”. Tuttavia, “questi territori patiscono spesso la condizione<br />

propria degli spazi secondari o marginali. In essi poi i nuovi segni, quando vi entrano, hanno<br />

effetti anche più deleteri che nelle zone dove essi appartengono alla normalità. Dove l’agricoltura<br />

si è modernizzata il paesaggio è cambiato, nuove geometrizzazioni hanno talvolta abbellito<br />

il paesaggio (come spesso è accaduto nelle aree della viticoltura più ricca o della pioppicoltura<br />

padana ecc.)” (Turri, 1990, pp. XVIII-XX). Al di là dell’effetto estetico non sempre positivo,<br />

nelle aree più adatte ad un’agricoltura razionale e meccanizzata si è avuto un processo di<br />

unificazione colturale che ha soppiantato le varie forme di coltura promiscua del passato. Tale<br />

‘urto neotecnico’ ha prodotto innovazioni spesso poco positive sul piano paesistico-ambientale,<br />

come “l’ordine geometrico, meccanico, degli impianti arborei […] nelle campagne riconvertite,<br />

le palificazioni di cemento dei vigneti, la creazione di spazi viari e operativi per i trattori e<br />

le varie macchine agricole, la eliminazione delle ‘piantate’ e delle siepi divisorie ai limiti delle<br />

parcelle, la costruzione di edifici nuovi e più ampi di quelli che erano i vecchi porticati, i vecchi<br />

fienili” (Turri, 1990, p. 67)<br />

Assai estesi, comunque, continuano ad essere gli spazi soggetti a emarginazione e abbandono.<br />

Aree che si ritrovano nel Meridione e nel Centro, in ambito alpino ed appenninico, estranee ai<br />

tumulti modificatori indotti dalle nuove forme di produzione. “In esse si possono anche comprendere<br />

quelle aree di elevata naturalità in quanto sempre poco interessate dalle attività di<br />

sfruttamento” e in parte organizzate dai poteri amministrativi centrale e regionali, soprattutto<br />

dagli anni ‘70, in parchi o in altre forme di aree protette; zone che – nell’attuale età post-industriale<br />

– possono improvvisamente assumere anche valori nuovi. E’ infatti possibile che i nuovi<br />

rapporti di comunicazione arrivino a “legare alle aree più vitali ed evolute le aree povere e attardate”,<br />

proprio perché “aree diverse, in quanto residualità testimoni d’una Italia passata, silente<br />

e remota nel tempo”, e quindi particolarmente adatte all’agriturismo, alla seconda casa e ad altre<br />

forme di ‘turismo verde’, alla stessa residenzialità che vi cerca rifugio quieto ed aria salubre,<br />

lontano dall’inquinamento e dalla congestione delle città e delle aree urbanizzate, soprattutto<br />

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