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CONOSCERE L'AMBIENTE PER DIFENDERLO - Cesvot

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milioni, “cifra che pone l’Italia tra i maggiori produttori mondiali […]. Questo consumo di<br />

cemento ha significato la sottrazione di enormi quantitativi di materiale calcareo ai monti italiani”,<br />

così come il correlato fabbisogno di sabbie e ghiaie (sottratto specialmente agli alvei fluviali)<br />

ha fortemente peggiorato i già delicati equilibri idrogeologici delle pianure e delle linee<br />

di costa.<br />

La violenza di una così rapida “fase cantieristica” è stata tanto maggiore per l’estraneità alle<br />

realtà locali del processo di cambiamento. Non c’è quindi da meravigliarsi se l’assorbimento<br />

psicologico e culturale del cambiamento è avvenuto con grande difficoltà e lentezza (Turri,<br />

1990, p. 33).<br />

Gli interventi “hanno avuto nei decenni scorsi intensità e velocità diverse da zona a zona. Ancor<br />

oggi il processo di ispessimento edilizio e di trasformazione territoriale, benché registri non<br />

poche novità, ha una distribuzione legata ai grandi centri urbani, alle direttrici principali che li<br />

collegano tra loro, alle linee di costa, alle conche intermontane peninsulari, al pedemonte alpino”<br />

– è questa l’Italia fatta di ‘linee forti’ –, mentre esistono pure “intensificazioni sparse, quelle<br />

che hanno fatto proliferare le aree della piccola industria specializzata, le corone dei piccoli<br />

e grandi centri, le valli alpine e appenniniche. Questa Italia coinvolta dalle intensificazioni<br />

modificatorie copre non meno del 30-40% del paese”. E’ un’Italia dove sempre più spesso è<br />

impossibile distinguere le specificità microregionali e locali, “ormai simile a un’unica periferia,<br />

anonima, poco accogliente, poco ordinata, dove però vive la maggior parte degli italiani e dove<br />

si vive in quel modo che si rifà a modelli più o meno omologati a livello nazionale. L’Italia dove<br />

si produce di più […], della confusione automobilistica, del traffico intasato, delle case condominiali<br />

senza volto, dei supermercati affollati, delle autostrade che sorvolano le case – o comunque<br />

dei grandi rettifili delle strade nuove non più serpeggianti come le antiche, che si adeguavano<br />

alle accidentalità e agli insediamenti –, dei capannoni industriali appiccicati agli edifici<br />

residenziali, degli inquinamenti, dei rumori, delle brutture edilizie, della droga ecc. […].<br />

Dentro questi stessi paesaggi senza volto e senz’anima, e di lettura sempre più difficile – dominati<br />

da segni nuovi come la fabbrica e il laboratorio artigianale, il grande capannone adibito a<br />

centro commerciale, gli autogrill e le stazioni di rifornimento e servizio al traffico veicolare, i<br />

cavalcavia e gli intrecci stradali, i grandi cartelloni pubblicitari, i ripetitori radiotelevisivi e telefonici,<br />

gli elettrodotti – vi sono spesso permanenze eccezionali, sparse qua e là o raccolte nei<br />

centri antichi delle piccole e grandi città. Questi sono gli spazi della sacralizzazione storica, artistica<br />

e sentimentale dove i valori del passato sembrano custoditi nel modo migliore (ciò che non<br />

sempre è vero, anche se il turismo costituisce un affare economico che rende produttiva la tutela)”.<br />

Ma, anche qui, la motorizzazione imperversa, ingombrando tali spazi “con la melma automobilistica”.<br />

E’ quasi superfluo “ricordare ciò che è avvenuto con l’esplosione motoristica nelle nostre città,<br />

costruite su tessuti di vecchie e anguste viuzze incapaci di sostenere il traffico delle automobili.<br />

L’abbrutimento delle città italiane per effetto dell’insostenibile, pletorica presenza della macchina<br />

è ancor oggi – e a maggior ragione oggi – vistosissimo. Il grande accatastarsi delle automobili<br />

sullo sfondo di architetture e scenografie urbane d’altre epoche suscita contrasti stridenti,<br />

manifestazioni di una inadattabilità che concretamente si misura nel disagio del cittadino a<br />

muoversi e vivere oggi nella città italiana” (Turri, 1990, p. 64)<br />

L’americanizzazione o la neotecnicizzazione del paesaggio è evidente anche “sulle spiagge, sui<br />

monti – e s’incunea persino nelle campagne di pregio residenziale e turistico – con gli alberghi,<br />

le piscine, i dancing, le drinking houses” (Turri, 1990, p. 68)<br />

Oltre a ciò, poco è rimasto del vecchio sentimento d’abitare degli italiani, per lo sfaldamento<br />

psicologico che si è verificato “del rapporto tra l’uomo-abitante e il proprio territorio vitale, l’allargamento<br />

dei riferimenti spaziali, il trapianto degli uomini (gli emigrati) in realtà diverse,<br />

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