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sponevano, con criterio, calma. Tre sacchetti di insalatamista già lavata, fette biscottate di uno di queimarchi di proprietà dei supermercati, poi yogurt,un vasetto grande di quello bianco e altri più piccinialla frutta, un sacco di plastica pieno di mele gialle,una retina con tante arance, poi dei fiocchi d’avena,e ancora delle lattine di birra Dreher, tre per la precisione,che allineò una dietro l’altra dopo che leaveva disposte in ordine sparso, e ancora della carnebianca, e tanti altri alimenti che mi sembraronosalubri ma assolutamente quieti, come se non cifosse che ordine e metodica in ogni boccone che ditutta quella roba avrebbe fatto. Solo le tre lattine dibirra sembravano un’eccezione alla regola, e neldisporle era stato bravo a farle sembrare organicheal contesto.Alzai lo sguardo e lo osservai in volto. Aveva ilviso dello stesso colore delle mani, baffi e pizzettoche gli giravano intorno alla bocca, i capelli ingrigiti.Gli occhi erano di un azzurro acceso, come sefossero stati strappati dalla faccia di un bambino emessi lì. Le labbra si contraevano quasi impercettibili,come se fosse alla ricerca del miglior ordine pertutte le cose che voleva comprare.Quando il cesto verde con i manici gialli fusvuotato di tutta la merce, prese dal fondo due sacchettidi tela, uno arancio e l’altro avorio, entrambicon i manici legati in modo che risultassero di piccoledimensioni.Intanto, la signora con il carrello pieno di piante

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