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Controllo il cronometro a cipolla di papà, regalodi un paracadutista inglese ospite per mesinel granaio, lo fisso per bene al passante in vita eallo spago, lo faccio partire, lo metto in tasca, alsicuro. E sono in strada.Le gambe cominciano a girare, lente. I polpaccis’induriscono all’istante per l’improvvisa fatica.Ma non li ascolto, tanto so già che, passati iprimi dieci minuti, spingeranno come due pistonciniarrabbiati. Parte la salita. Il cuore inizia adaccelerare, il fiato ad aumentare. Dopo poco,prendo il ritmo e il corpo va da solo. I muscolisono caldi, la pedalata è fluida, il respiro regolare.Ripercorro, come sempre in questi giorni,l’incredibile proposta che mi ha fatto la scorsasettimana il signor Vanzelli all’uscita del cotonificio,mentre stavo inforcando la mia Bianchina pertornare a casa. So le battute a memoria, comeun’attrice, tante volte mi sono ripetuta in testa ildiscorso, per paura che non fosse vero, che fossetutto un sogno.“Betta, vieni qui.”“Signor Vanzelli, ho fretta debbo andare adaiutare a raccogliere le patate.”“Ti rubo solo pochi minuti.” E poi, abbassandoil tono di voce. “Ti ho tenuto d’occhio questi mesi,ho guardato le tue gambe.”

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