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passi avanti a me, ma ogni tanto si girava per vederese c’ero. Avevo paura che mi cedessero le gambequando ho capito che strada stavamo facendo: dietroponte Mosca, dalla parte opposta della fabbrica bombardata,ci sono ancora campagne molto belle e insenaturesul fiume con alcune spiaggette. D’estate ci siva a fare il bagno ma da quando c’è questa guerrasono deserte. A un certo punto, non so come, ci siamoritrovati mano nella mano a correre. Poi lui si è fermatodi colpo, mi ha abbracciata stretta, mi ha stampatodue baci sulle guance e uno sulle labbra. Mi haguardata: Sei bella, Mimì. Subito dopo ha iniziato atogliersi la camicia e i pantaloni. Non ero in imbarazzo,anche se forse avrei dovuto esserlo, non lo so,ma stavo ferma. Allora lui mi ha fatto stenderesull’erba. Mi accarezzava, con dolcezza e forza. Ricordotutto, ogni attimo. Il suo sudore, le mani, comesi muoveva. La mia pancia che era in subbuglio e temevosi udisse. Piero mi ha alzato la gonna e sfilatole mutandine, mi è salito sopra e mi ha fatto sua. Ildolore è stato acuto, ma quello che mi ha fatto piùmale è che mi ha preso in giro per le calze grigie dicotone grezzo. Ho messo su il broncio. Lui ha riso eha aggiunto che c’era una bella differenza tra la ruviditàdelle calze e la pelle liscia delle mie gambe.Da quel giorno, quando posso, ci mettiamod’accordo e mi aspetta davanti al laboratorio. Prendiamoil tram, scendiamo a ponte Mosca e corriamoverso la campagna, per amarci. Ci rifugiamo dentroun piccolo bosco, per sfuggire alla vista della gente.

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