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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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ce è anche colui che negli anni Trenta scriveva: «Vorrei che alcuno,invece d’inventare nuove Estetiche e Filosofie <strong>del</strong>l’arte, come tuttodìvediamo, sterilissime e inutilissime, avesse il buon proposito d’impararee studiare sul serio l’Estetica, e, perciò, anzitutto, la Storia <strong>del</strong>l’Estetica»11 . Pochi inviti, come questo, sono stati tanto a lungo disattesi daglistudiosi. Fino a <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong>, che i testi <strong>del</strong>la tradizioneestetologica li ha studiati davvero e li conosceva di prima mano, rileggendoli“dopo” Croce: basti per tutti la scoperta di Demetrio, accantoallo Pseudo Longino, o la riscoperta di un Burke, insieme al disertatissimoHemstheruis 12 .Questa esigenza di risintonizzare storia e teoria, assolta in esteticada <strong>Morpurgo</strong> fin dal 1951, vale la pena di ricordare che dilagò neglianni successivi in una lunga stagione di revisioni metodologiche che siprotenderà fino agli anni Settanta. Fior di studiosi, quali Paci, Dal Pra,Preti, Abbagnano, Bobbio, Garin, a metà degli anni Cinquanta, in convegni,dibattiti, numeri speciali di riviste, misero in discussione il mo<strong>del</strong>locorrente di storiografia filosofica, e in particolare le tre categoriemitiche che lo avevano fomentato: “unità”, “precorrimento”, “superamento”,aprendo nuovi percorsi che si staglieranno in varie direzioni.Non mi consta invece che questo dibattito abbia trovato eco direttanella citta<strong>del</strong>la estetologica e posso registrare solo un calibrato intervento,<strong>del</strong> solito <strong>Morpurgo</strong>, che commenta un importante convegnotenutosi in Firenze a fine aprile <strong>del</strong> 1956, stendendo una nota che poidiventa recensione e infine articolo 13 . Qui lo stile, vorrei dire, storiograficodi <strong>Morpurgo</strong> si distende in piena decantazione. Per lui lo storicodeve essere consapevole <strong>del</strong>la natura speculativa e contemporaneamentepratica <strong>del</strong> suo operare: consapevole cioè di fare, insieme, storiografiae storia. Non storiografia arbitraria per compiacere ad unatransitoria situazione storica o per provocarne una, ma nemmeno storiografiascrupolosa e proba ma astratta, simile a un esercizio ben eseguitoma sprovvisto <strong>del</strong> senso <strong>del</strong>la sua utensilità e non riferito adun’effettiva coscienza storico-pratica. Si spalanca allora una strategicaflessibilità di campo che riqualifica al massimo grado tutte le valenze<strong>del</strong> lavoro estetologico. Da un lato, si riconosce e legittima una storiografiache guarda alle persone, alle esperienze <strong>del</strong>l’epoca e all’intrecciofra domanda epocale e tipo di risposta contingente che viene data alladomanda, quindi al rapporto <strong>del</strong>le teorie fra di loro e <strong>del</strong>le teorie conle realtà da esse rappresentate, alle opere d’arte per esempio, al gustoe alla sensibilità dei tempi, senza parimenti disgiungere tutto ciò dallapersistenza di una problematicità <strong>del</strong>la ricerca, che si va continuamentesvolgendo e modificando e che va ricostruita ad hoc, volta avolta attraverso concrete analisi fenomenologiche.È in questo rinnovato quadro di ricerca che vede la luce nel 1960L’esthétique contemporaine, sicuramente, dicevo, il volume più cono-14

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