grafia estetica era stato dominato da un mo<strong>del</strong>lo “forte”, quello crociano,anzi quello <strong>del</strong> Croce <strong>del</strong>l’Estetica, il testo capitale <strong>del</strong> 1902. Testo,che non sempre si bada al fatto che consta di due parti distinte: laprima, famosissima e famigerata, “Teoria”, la seconda, molto più inombra, “Storia”. Ingiustamente in ombra. Perché, al di là dei suoi indiscutibilimeriti storici e degli stimoli paradigmatici, pur traumatici,che offriva (era, per esempio, la prima storia <strong>del</strong>l’estetica composta inItalia, vi si scoprivano i teorici italiani sei-settecenteschi, si elevava Vicoa padre <strong>del</strong>l’estetica al posto di Baumgarten), costituiva un perfettopendant funzionale <strong>del</strong>la prima parte teorica. Importa tuttavia metterein chiaro che il mo<strong>del</strong>lo cui è informata la storia <strong>del</strong>l’estetica crocianaha esercitato un fascino unico su tutta la posterità, praticamentefino ad ieri, con qualche isolatissima eccezione. Un dominio metodologicoaddirittura più pervasivo di quello esercitato dalla stessa teoriaestetica di Croce e che, curiosamente, si è esercitato anche nei versantipiù dichiaratamente anticrociani.Cosa insegna quel mo<strong>del</strong>lo 10 ? Che la costruzione storiografica è informatada regole a priori, determinate non dai criteri ordinativi pertinentialla comprensione dei materiali indagati, bensì dall’idea che secondola propria scelta teorica lo studioso formula in ordine all’interpretazionedi quei materiali. Ne consegue che la ricerca non miraalla conoscenza dei fatti teorici avvenuti nella storia, ma al conseguimento<strong>del</strong>la propria verità disciplinare attraverso la storia: l’atto storiograficoviene così subordinato alle finalità teoriche perseguite. Finoall’estremo paradosso che, al momento in cui la storia consegue la suafinalità, accertando l’esistenza <strong>del</strong> proprio oggetto tematico, essendoquesto analizzabile solo in termini epistemici, si dissolve la sua storicità:la storia si scioglie nella teoria.Questo, allo stato puro, è il mo<strong>del</strong>lo storiografico crociano <strong>del</strong> 1902.Ed è inutile aggiungere che di esso nei decenni successivi Croce abbiareso ampia autocritica e fatto plurime emendazioni. Intanto perché egliha, comunque, mantenuto fino alla fine l’idea <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>l’esteticacome momento interno ed ancillare <strong>del</strong>la teoria; ma soprattutto perchéla sua cifra <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>l’estetica, variamente concepita come inertestrumento o passivo corollario <strong>del</strong>la teoria, mero “quadro concettuale”attraverso cui promuovere il proprio progetto conoscitivo, ha continuatoa trascinarsi per inerzia lungo gran parte <strong>del</strong> Novecento. Fino aMorpugo, come abbiamo visto, e purtroppo anche dopo <strong>Morpurgo</strong>.Piuttosto, acquisita l’inversione di rotta intrapresa da <strong>Morpurgo</strong>,mette conto sottolineare che essa non si consuma attraverso una banalerottura con Croce, ossia per una contrapposizione meramente polemica,bensì secondo un’orbita “postcrociana”, attraverso cioè uno spostamentodi livello problematico, che accoglie e rielabora in diversaprospettiva talune vitali esigenze evidenziate dallo stesso Croce. Cro-13
ce è anche colui che negli anni Trenta scriveva: «Vorrei che alcuno,invece d’inventare nuove Estetiche e Filosofie <strong>del</strong>l’arte, come tuttodìvediamo, sterilissime e inutilissime, avesse il buon proposito d’impararee studiare sul serio l’Estetica, e, perciò, anzitutto, la Storia <strong>del</strong>l’Estetica»11 . Pochi inviti, come questo, sono stati tanto a lungo disattesi daglistudiosi. Fino a <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong>, che i testi <strong>del</strong>la tradizioneestetologica li ha studiati davvero e li conosceva di prima mano, rileggendoli“dopo” Croce: basti per tutti la scoperta di Demetrio, accantoallo Pseudo Longino, o la riscoperta di un Burke, insieme al disertatissimoHemstheruis 12 .Questa esigenza di risintonizzare storia e teoria, assolta in esteticada <strong>Morpurgo</strong> fin dal 1951, vale la pena di ricordare che dilagò neglianni successivi in una lunga stagione di revisioni metodologiche che siprotenderà fino agli anni Settanta. Fior di studiosi, quali Paci, Dal Pra,Preti, Abbagnano, Bobbio, Garin, a metà degli anni Cinquanta, in convegni,dibattiti, numeri speciali di riviste, misero in discussione il mo<strong>del</strong>locorrente di storiografia filosofica, e in particolare le tre categoriemitiche che lo avevano fomentato: “unità”, “precorrimento”, “superamento”,aprendo nuovi percorsi che si staglieranno in varie direzioni.Non mi consta invece che questo dibattito abbia trovato eco direttanella citta<strong>del</strong>la estetologica e posso registrare solo un calibrato intervento,<strong>del</strong> solito <strong>Morpurgo</strong>, che commenta un importante convegnotenutosi in Firenze a fine aprile <strong>del</strong> 1956, stendendo una nota che poidiventa recensione e infine articolo 13 . Qui lo stile, vorrei dire, storiograficodi <strong>Morpurgo</strong> si distende in piena decantazione. Per lui lo storicodeve essere consapevole <strong>del</strong>la natura speculativa e contemporaneamentepratica <strong>del</strong> suo operare: consapevole cioè di fare, insieme, storiografiae storia. Non storiografia arbitraria per compiacere ad unatransitoria situazione storica o per provocarne una, ma nemmeno storiografiascrupolosa e proba ma astratta, simile a un esercizio ben eseguitoma sprovvisto <strong>del</strong> senso <strong>del</strong>la sua utensilità e non riferito adun’effettiva coscienza storico-pratica. Si spalanca allora una strategicaflessibilità di campo che riqualifica al massimo grado tutte le valenze<strong>del</strong> lavoro estetologico. Da un lato, si riconosce e legittima una storiografiache guarda alle persone, alle esperienze <strong>del</strong>l’epoca e all’intrecciofra domanda epocale e tipo di risposta contingente che viene data alladomanda, quindi al rapporto <strong>del</strong>le teorie fra di loro e <strong>del</strong>le teorie conle realtà da esse rappresentate, alle opere d’arte per esempio, al gustoe alla sensibilità dei tempi, senza parimenti disgiungere tutto ciò dallapersistenza di una problematicità <strong>del</strong>la ricerca, che si va continuamentesvolgendo e modificando e che va ricostruita ad hoc, volta avolta attraverso concrete analisi fenomenologiche.È in questo rinnovato quadro di ricerca che vede la luce nel 1960L’esthétique contemporaine, sicuramente, dicevo, il volume più cono-14
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