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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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che gli si riconosce di provocare questo comportamento» (ivi, p. 224).Dunque, l’oggetto assume senso nella misura in cui diviene paradigmadi potenziali atti di significazione che si configurano come comportamentie non come designazioni, azioni e non denotazioni, che si estrinsecanoin un fare e non meramente in un dire. L’affiorare dal seno<strong>del</strong>l’esperienza di principi di sensatezza, o di valore, esclude ovviamenteun procedimento deduttivo per la loro individuazione, ma si allontanaaltrettanto decisamente dal procedimento induttivo-empiristico ingrado, al più, di metter capo a classi determinanti. Si tratta piuttosto,scrive <strong>Morpurgo</strong>, di «ricorrere a un giudizio che non qualifichi un oggettoclassificandolo ma singolarizzandolo; ricorrere a una classe chenon definisca i suoi esemplari ma ne sia definita […]; paradossalmente,una classe a un solo esemplare» (ivi, p. 236). Lo slittamento dallavera e propria predicazione alla singolarizzazione che si rivela utile perfuturi gesti espressivi consente di tesaurizzare la curvatura pragmatisticaimpressa alla stessa nozione di senso-valore. I significati, anzichéconstatati, vengono qui agiti. Quando poi <strong>Morpurgo</strong> accentua l’inerenzadei giudizi critici allo «status» <strong>del</strong>l’oggetto contrapposto alla obiettivante«natura» di esso, egli sottolinea al tempo stesso come l’esperienzain questione possa considerarsi soggettuale (non già meramentesoggettiva) poiché costituita dai e nei comportamenti che cor-rispondonoalla espressività degli enti a cui ci si rapporta e che si realizzanocome «esplicitarsi riflessivo nel giudizio […] di quel “dover essere”, diquella obbligazione di cui siamo consapevoli nell’atto <strong>del</strong> gusto» (Fenomenologia<strong>del</strong> giudizio critico, p. 27).8. Da ultimo, si può quindi affermare che l’ancoraggio a uno stratocostitutivo che eccede la rete <strong>del</strong>la referenzialità obiettivante, e in cuisi salvaguarda la espressività quale radice stessa <strong>del</strong>la sensatezza – poiché«la rappresentazione artistica è un esibire valori, [e] non va confusacon il formulare valutazioni» (Fenomenologia <strong>del</strong> giudizio critico,p. 34), e dunque non si risolve in attualità esperienziali determinateconfigurandosi piuttosto come «apertura di possibilità» (cfr. ivi, p. 40),che «crea una regola, ma non funziona da regola» (ivi, p. 42) – fa sìche <strong>Morpurgo</strong> imposti il problema <strong>del</strong>la fruizione estetica come problema<strong>del</strong>l’articolazione <strong>del</strong>lo spettro “semantico”. Certo, ciò accadesulla base anche di una concezione spregiudicata <strong>del</strong>la dinamica <strong>del</strong>lasensatezza, in grado di misurarsi pionieristicamente, ad esempio,con la tradizione austiniana <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la performatività, con laquale <strong>Morpurgo</strong> condivide almeno il riconoscimento <strong>del</strong>la pluralità evarietà <strong>del</strong>lo spettro <strong>del</strong>la significatività. Vedendo il problema <strong>del</strong> sensocome prioritario rispetto alla dinamica <strong>del</strong> riferimento e <strong>del</strong> segnoegli intende rovesciare il corso <strong>del</strong>la riflessione maggiormente seguitonell’ultimo secolo. Così, mentre «non di rado i trattatisti partono dal72

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