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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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pirica” e l’attesa di casi simili, Wolff giunge a mettere in questione ilrapporto fra generale e particolare nel campo <strong>del</strong>le verità contingenti.Giudicare, secondo il dettato <strong>del</strong>la Psychologia empirica 14 , «quid fieridebeat in casu singulari dato» (§ 501) significa infatti attribuire sottodeterminate condizioni un certo predicato (che si dirà ipotetico) a uncerto individuo, riportando quest’ultimo alla specie cui appartiene (§361). E ciò appunto, nello specifico, non è possibile se non si conoscegià un caso simile. Conoscere è infatti possibile a priori, per via diragionamento, oppure a posteriori, per via d’esperienza. In mancanzaperò di scienze che forniscano «la teoria degli avvenimenti più usuali»(ancora § 501) non rimane che giudicare sulla base <strong>del</strong>l’esperienza,a posteriori. Se io (per riprendere un altro esempio wolffiano, Psychologiaempirica § 361) so che in autunno cadono le foglie, mi aspettoche, essendo autunno, questa foglia cada, perché riporto questo individuodi cui ho intuizione immediata al suo genere (le foglie) e giudicoche si diano le stesse condizioni d’ipotesi (che sia autunno). Gli uomini(sto ancora parafrasando il fondamentale § 501) sono tenuti a giudicareper via d’esperienza quando mancano di proposizioni determinate secondocui giudicare nei casi singoli determinati.Ancor più significativo per il punto di vista che intenderei qui proporreè però l’arretramento di Muratori nei confronti <strong>del</strong> dibattito barocco,che aveva avvertito la questione <strong>del</strong> rapporto fra “norme generali”e “casi individuali”, aveva in più di una occasione sfiorato osenz’altro messo in luce la questione <strong>del</strong> gusto, insieme a quella <strong>del</strong>“non so che”, ma aveva infine coordinato insieme tutti questi elementiper mezzo di una strumentazione retorica e in funzione di una strategiache è senz’altro quella, per dirla con le parole di <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong>,<strong>del</strong>l’“arguzia sillogistico-retorica”, cioè in vista dei nessi fra retoricae dialettica. Alludo al problema <strong>del</strong> “ritrovamento <strong>del</strong> mezzo”,che è centrale nella dialettica europea da Pietro Ramo in poi, e funzionanel pensiero barocco soprattutto al fine di individuare lo specifico<strong>del</strong>la riflessione acuta: accontentiamoci, anche qui, di un unico esempio,quello <strong>del</strong> trattato Delle acutezze di Matteo Pellegrini, per il qualela virtù logica <strong>del</strong>l’ingegno consiste, in parallelo con quanto avvienenel caso <strong>del</strong>l’intelletto, nella capacità di trovare il termine medio cheleghi insieme i diversi elementi, in una connessione che, al contrario diquanto avviene nel caso <strong>del</strong>la logica, non è funzionale alla verità <strong>del</strong>riferimento esterno ma alla “acconcezza” <strong>del</strong> legamento stesso, allabellezza, che costituisce per Matteo Pellegrini l’oggetto <strong>del</strong>la sfera autonoma<strong>del</strong> discorso retorico. E tuttavia, prosegue Pellegrini, non esistonoregole specifiche per ottenere quei risultati, e tutto il campo rimaneaffidato «alla virtù <strong>del</strong>l’ingegno, […] dove per bene operare nonha regola speciale» 15 . In parallelo, distinguere le perfezioni proprie<strong>del</strong>l’operare <strong>del</strong>l’ingegno non è cosa che si possa ottenere altrimenti50

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