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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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Non desidero limitarmi a rilevare le contraddizioni evidenti negliautori <strong>del</strong> <strong>Settecento</strong> inglese; vorrei anche avanzare una considerazionegenerale che credo possa chiarire le questioni particolari fin qui enunziate.Ritengo infatti che quelle contraddizioni dipendano dal permaneredi elementi (neo)platonici all’interno di riflessioni di segno empiristico12 . Non è ovviamente questa la sede per ricomporre in dettaglioe alla luce di una simile interpretazione le tessere <strong>del</strong> quadro sopraillustrato; osservo soltanto che la persistenza nell’estetica inglese modernadi una divisione fra mente e sensi, mondo ideale e mondo reale,intelligibile e sensibile condiziona in vari modi le teorie di Addison,Shaftesbury e Hume. Se pure negli autori settecenteschi l’indagine sulgusto si risolve di fatto in una sorta di associazionismo di matricelockiana, la concezione di bellezza resta comunque platonica: bastipensare alle gerarchie <strong>del</strong>le forme di Shaftesbury, che postula l’esistenzadi una bellezza ideale cui alludono le forme <strong>del</strong>la bellezza sensibile13 ; alla presenza di certa escatologia in Addison, il quale spiega lanostra propensione ad essere colpiti da bellezza, novità e grandezzacome viatico alla contemplazione di Dio nella vita ultraterrena 14 ; alcarattere di adeguatezza al fine che Hume, non diversamente dal Socrateplatonico (e senofonteo) – oltre che dal Berkeley <strong>del</strong>l’Alcifrone(1732) – identifica come essenziale al bello 15 . Ora, l’aver trascuratol’interazione di correnti intellettuali eterogenee mi pare un limite (nonso quanto voluto) <strong>del</strong>l’indagine di <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong>: privilegiandoil versante più propriamente empiristico <strong>del</strong>l’estetica settecentesca, eglicompie lo stesso errore che rimprovera a Hume, il quale manifesterebbe«la volontà di non essere dialettico» (p. 154). E invece, l’estetica <strong>del</strong><strong>Settecento</strong> inglese appare segnata da Platone non meno che da Locke:proprio in una simile dialettica consiste a mio avviso il suo fascino e ilsuo maggiore interesse.Tanto più che quella dialettica inerisce non solo alla filosofia estetica,ma anche alla cosiddetta letteratura artistica, dove la concezione<strong>del</strong> peculiare agente estetico che sollecita il gusto è tutta platonica: sipensi all’archetipizzazione, per così dire, negativa di Hogarth; alla «formamedia» di Reynolds, sorta di «idea» intelligibile cui l’artista dà formasensibile; alla «visione» divina ed eterna dalla quale si dice ispiratoBlake. Proprio una tal concezione platonica <strong>del</strong> bello è all’origine diquel carattere non univoco <strong>del</strong> gusto settecentesco – fra senso, ragioneed “entusiasmo” – che rimarrebbe altrimenti ingiustificato. In quantoemanazione di una divinità o di una Mente superiore, il bello nonpuò collocarsi sullo stesso piano dei piaceri meramente sensuali; se poiil bello sensibile non si dà che in relazione a un bello intelligibile, allorail gusto deve recuperare un carattere intellettuale che gli consentadi comprendere quella relazione. Ma ancora, se il bello è emanazione,«disegno», di una Mente infinita ed eterna e incorruttibile, difficilmen-28

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