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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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definitiva solo con Kant, <strong>del</strong>la universalità o <strong>del</strong>la relatività <strong>del</strong> gusto.Tutte queste cose <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong> le sapeva benissimo, e anzile ricorda, molto meglio di quanto siamo riusciti a fare noi, subito all’inizio<strong>del</strong> suo volume Il concetto di “gusto” nell’Italia <strong>del</strong> <strong>Settecento</strong>,pubblicato a Firenze nel 1962 in un’edizione che ebbe pochissima circolazionee che è stato ora meritoriamente ristampato, a cura di LuigiRusso e Giuseppe Sertoli, come prima parte <strong>del</strong> libro Il Gusto nell’estetica<strong>del</strong> <strong>Settecento</strong> 1 .Già nel primo capitolo è possibile leggere: «Non fu la nostra culturala sede <strong>del</strong>le trattazioni più originali e più proficue sul gusto nel<strong>Settecento</strong>: non di rado essa accolse questo problema di riflesso» 2 . Enel secondo: «per tutto il secolo una trattatistica ricca e influente comequella italiana non diede quasi una definizione originale <strong>del</strong> gusto, o,se vogliamo essere più precisi, non diede una sola definizione metodologica<strong>del</strong> gusto» 3 . Rincarando la dose, poco più avanti <strong>Morpurgo</strong>scrive: «Il problema metodologico si può dire che gli eruditi italianinemmeno lo afferrarono. Perciò, mentre altrove nel secolo XVIII si assistead un approfondimento riflessivo <strong>del</strong>le intuizioni <strong>del</strong> secolo XVII,in Italia si ha un’involuzione, un fenomeno di disinteresse e di regresso.[…] I nostri eruditi trattarono per tutto il secolo di gusto e dibuon gusto, ma parlavano di qualche cosa che aveva ben poco da farecol problema allora dibattuto in Europa» 4 .Di fronte ad affermazioni così nette, e che sembrano lasciare pochissimospazio ad un’interpretazione meno severa <strong>del</strong> nostro <strong>Settecento</strong>,viene spontaneo chiedersi perché <strong>Morpurgo</strong>, non ostante ciò,abbia scelto di dedicarsi anche all’estetica <strong>del</strong> <strong>Settecento</strong> italiano, eanzi abbia avviato la sua ricognizione storiografica sul gusto, destinatapoi ad allargarsi all’estetica inglese con i saggi su Shaftesbury eAddison prima, su Burke e Hume e Montesquieu poi, proprio partendodal nostro paese 5 .A questioni come questa è sempre possibile dare più di una risposta.Intanto, c’è quella offerta dall’autore medesimo: «Proprio perchéla questione ebbe da noi aspetti meno precisi e più incerti che altrove,chiarirne taluni termini come si presentarono in questo ambiente cisembra il modo migliore di introdurci alle sue difficoltà e di renderciconto dei suoi legami con tanti altri fattori: e così di essere megliopreparati a interpretare in modo non semplice ed elementare talunetesi apparentemente semplici e nette formulate altrove da famosi autori»6 . Qui, il lavoro sul concetto <strong>del</strong> gusto in ambito italiano viene presentatocome una sorta di preparazione e di sperimentazione, quasi unlaboratorio in cui mettere a punto gli strumenti che consentiranno poidi affrontare situazioni e tematiche più complesse: e non c’è dubbioche, nella storia personale di <strong>Morpurgo</strong>, il lavoro sul <strong>Settecento</strong> italianoabbia svolto in qualche misura anche questa funzione. <strong>Morpurgo</strong>38

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