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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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l’estetica britannica dall’accusa di aesthetica vulgaris che le aveva affibbiatoCroce 5 e che, in buona sostanza, era stata ripetuta da tutta l’esteticaidealista fino agli anni ’50. Un riscatto conseguente al privilegioaccordato – e ciò è già evidente nel Concetto <strong>del</strong>lo stile – alla fruizionerispetto alla produzione. Perché è vero che Croce aveva riconosciutoal passaggio «dall’ontologia alla psicologia» segnato dall’introduzione<strong>del</strong>l’idea di gusto il merito di aver stimolato «una teoria <strong>del</strong>lo spiritoestetico», ma poi aveva denunciato il limite di quell’idea, e dunquedi quel passaggio, nell’aver configurato l’esperienza estetica comeuna “passività” anziché come una “attività” 6 . L’enfasi sul piacere e sulsentimento, nonché la mancata distinzione di bello e arte, avevano impeditoai filosofi e critici britannici (e non solo a loro, naturalmente)di accedere a quella – vera – Estetica il cui «unico oggetto» è l’arte:l’arte intesa come produzione spirituale. Così aveva detto Croce nelfamoso saggio <strong>del</strong> ’33 Iniziazione all’estetica <strong>del</strong> <strong>Settecento</strong> e così avrebberoripetuto, negli anni seguenti, i non tanti storici <strong>del</strong>l’estetica che sisarebbero occupati <strong>del</strong> pensiero britannico. Mi riferisco in particolarea Mario Manlio Rossi, senza dubbio il maggior esperto in quel campo,che avrebbe concluso la sua grande – e tuttora utile – antologia <strong>del</strong>l’esteticaempiristica d’oltre Manica accusandola di non essere riuscitaa cogliere quel «prius assoluto» che è l’«atto creativo», cioè la produzionespirituale <strong>del</strong> bello (artistico e naturale) 7 . Accusa ribadita unaquindicina d’anni dopo, sia pure con toni meno perentori, da VittorioEnzo Alfieri nell’unico saggio di ampio respiro dedicato – prima deilavori di <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong> – all’estetica britannica <strong>del</strong> XVIII secolo,là dove egli scriveva che tale estetica non era riuscita a pensare «senon i contenuti di coscienza e non la coscienza» stessa in quanto tale,cioè la soggettività come istanza produttiva 8 .Mi scuso per questi richiami ovvii. Li ho fatti solo per evocare losfondo su cui vanno misurati i saggi di <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong> se se nevuole cogliere l’originalità. Proprio l’inversione di rotta – dal produrreal fruire – enunciata nel Concetto <strong>del</strong>lo stile («un fenomeno si conoscedai suoi effetti; e solamente così se ne conosce anche la interna struttura»9 ) e ribadita nei paragrafi iniziali <strong>del</strong> primo saggio sul gusto inItalia 10 consente a <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong> di rileggere l’estetica britannica<strong>del</strong> <strong>Settecento</strong> senza quegli occhiali idealisti che ne salvavano solo ciòche poteva essere visto come (o meglio, poteva essere scambiato per)anticipazione/preparazione <strong>del</strong>l’estetica romantica e post-romantica. Ilche significa poi, fra le altre cose, recuperare all’Estetica quella problematica<strong>del</strong> bello naturale che era stata centrale, anzi prioritaria, negliautori settecenteschi fino a Kant incluso – il quale proprio perciò avevasubìto le critiche di Croce 11 . Da questo punto di vista, non c’è dubbioche l’operazione condotta da <strong>Morpurgo</strong>-<strong>Tagliabue</strong>, e avviata già nelConcetto <strong>del</strong>lo stile, consiste nello scavalcare all’indietro non solo Croce18

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