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Grandi maestri piccole sculture

da Depero a Beverly Pepper a cura di Lara Vinca Masini

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Arte visuale, Cinetica, uso della luce<br />

Bruno Munari<br />

(1907-1998)<br />

Macchina inutile, 1947-1968;<br />

alluminio e fili di nylon,<br />

cm 50x55. Asta Semenzato, Milano,<br />

28.5.2001. Lotto 258.<br />

Partecipava, già dagli anni Trenta, alle mostre dei membri<br />

del Secondo Futurismo, con oggetti mobili, sospesi,<br />

come le sue più tarde “macchine inutili”, fragili costruzioni<br />

consistenti in <strong>piccole</strong> stecche orizzontali in plastica,<br />

in cartoncino, in alluminio (una delle quali, con <strong>piccole</strong><br />

stecche in alluminio è presente in questa mostra), sospese<br />

con fili di nylon, con cui creava dei “mobiles”, con<br />

chiaro riferimento a quelli di Calder. Con questi semplici<br />

oggetti, giochi ironici, già intendeva sfatare il concetto<br />

romantico di arte e di artista come creatore di opere imperiture,<br />

ad evidenziare quanto, in un mondo in continuo<br />

divenire e continuamente minacciato da sconvolgimenti,<br />

niente può più sperare in un futuro sicuro, neppure<br />

l’opera d’arte. Fedele a un suo continuo sperimentalismo,<br />

tendente sempre ad esprimere soluzioni semplici e apparentemente<br />

ovvie di problemi complessi, affrontava, fin<br />

da allora, il tema della didattica coi suoi libri per bambini,<br />

preverbali, che sollecitano la curiosità per quanto nascondono.<br />

Sarà, quella della didattica, una sua costante.<br />

Dopo i Negativi/Positivi del 1950 egli abbandonava la<br />

pittura anche se, nei suoi bei gioielli degli anni Sessanta,<br />

riprenderà il tema del positivo/negativo. Passava, in<br />

seguito, attraverso varie esperienze, fedele sempre e<br />

comunque a una sua sperimentazione razionalista, anche<br />

se filtrata attraverso la sua sottile ironia.<br />

Designer straordinario (citerò solo il suo Posacenere del<br />

1957, per Danese, divenuto un classico imbattibile), graphic<br />

designer, progettista. Dalle Proiezioni a luce polarizzata<br />

(1952), alle Forchette parlanti, alle Sculture da viaggio<br />

in cartoncino, pieghevoli, Munari ha portato avanti la sua<br />

lucida ricerca, realizzando lavori rigorosamente strutturali<br />

e lavori di riferimento dada. Ma mentre in Duchamp la<br />

manipolazione dell’oggetto, come scriveva Meneguzzo,<br />

“è linguistica”, nel caso di Munari è “spiazzamento<br />

d’uso”. Riuscirà, peraltro, a comporre questo suo dualismo<br />

in armonia, rigore, semplicità nel gioco sottile della<br />

fantasia, aprendo la strada anche a una nuova, poetica<br />

concezione del design. Nel 1962 egli organizzava la prima<br />

mostra milanese di “Arte Programmata”, promossa dalla<br />

Olivetti.<br />

Alessandro Mendini, architetto e direttore di varie riviste,<br />

ha definito Munari “l’apolide fantasista del design,<br />

il triplo concentrato di materia cerebrale creativa, il<br />

posacenere-capolavoro”.<br />

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