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Grandi maestri piccole sculture

da Depero a Beverly Pepper a cura di Lara Vinca Masini

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Postconcettuale<br />

Fernando Melani<br />

(1907-1985)<br />

Apollo e Dafne, 1983; ferro smaltato,<br />

h cm 27. Galleria Antonio Nespoli,<br />

Pistoia.<br />

Straordinario personaggio, solitario, legato a un tipo di<br />

concettualismo e a una continua “riduttività”, antieroe,<br />

antiartista, ma continuamente aperto verso il mondo, la<br />

natura, il cosmo, per così dire, ma secondo una sua concezione<br />

dell’arte e del mondo, ha sempre lavorato abbinando<br />

al suo lavoro “pratico” una continua impostazione<br />

teorica. Ha vissuto, praticamente, sempre a Pistoia, spaziando<br />

con energia, ma anche con leggerezza, nei campi<br />

più variati. Ha usato i materiali più diversi, le tecniche<br />

più disparate, osservando ogni piccolo elemento (un filo<br />

di ferro, ad esempio); analizzava le qualità fisiche del<br />

colore. “Elaborando un rosso” scriveva “bisogna tentare<br />

di giungere nello spazio zero, nello spessore indicibile<br />

– senza bordi – per cui l’umidiccio organico e l’ottusa<br />

asprezza del pigmento si mutano nella complessità<br />

dell’energia originaria comune ai due”.<br />

Creava sottili ragnatele con un filo di ferro sottile; costruiva<br />

un suo grottesco “bucato” appendendo nel suo studio<br />

pezzi di stoffa colorati (adorava il colore; vestiva costantemente<br />

una nitida tuta azzurra, accompagnata da una<br />

piccola sciarpa metà rossa e metà gialla, raffinato operaio<br />

e tragico clown). Come scriveva nel 1967 Carla Lonzi:<br />

“Le opere di Melani [...] accentuano la ricerca attorno<br />

alla QUANTITÀ, considerando la qualità come una<br />

categoria concettuale che riflette [...] l’abuso della presunzione<br />

dell’uomo. Egli ritiene che soltanto spingendo<br />

a fondo l’esame quantitativo si può giungere al rilievo<br />

delle strutture più nascoste, le più ricche e imprevedibili<br />

(altamente informative); da ciò il tentativo di rendersi<br />

sempre disponibile, nel suo operare, al rilievo di queste<br />

non calcolate armonie, aderendovi strettamente: come<br />

se si potesse parlare di una spontaneità statistica delle<br />

manifestazioni del mondo, al cui farsi l’artista cerca un<br />

adeguamento nella maniera più ampia, sottile, diretta”.<br />

In mostra un lavoro del 1983, Apollo e Dafne, un doppio<br />

modellino di telaio di bicicletta (un Apollo tecnologico?),<br />

che sembra voler irretire, circuire, in una sorta di gabbia<br />

amorosa, un fragile ramo di lauro, Dafne, che proprio in<br />

lauro si trasforma, per sfuggire alla malia. (E si ricordi<br />

che in greco ∆α′ ϕυη significa lauro). È forse il simbolo<br />

del continuo tentativo di imbrigliare e di trasformare la<br />

natura da parte della tecnologia portata all’eccesso?<br />

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