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Grandi maestri piccole sculture

da Depero a Beverly Pepper a cura di Lara Vinca Masini

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a cura di Lara Vinca Masini

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Scultura postbellica e contemporanea<br />

Eliseo Mattiacci<br />

(1940)<br />

Ferro, anni Novanta; ferro, cm 53x53<br />

Aurelio Amendola, Pistoia.<br />

Tra gli scultori che operano in Italia dal secondo dopoguerra<br />

iniziava, sulla lezione di Colla, a lavorare col metallo,<br />

assemblando pezzi di recupero con parti forgiate a mano,<br />

nella consapevolezza del cambiamento totale del panorama<br />

della vita attuale a mezzo delle nuove tecnologie, acquisito<br />

anche attraverso la Pop culture. Presentava alla Biennale<br />

dei giovani di Parigi (1967), un lungo tubo snodabile in<br />

metallo verniciato di giallo.<br />

Assimilato, spesso, contro la sua volontà, all’Arte Povera,<br />

ha sempre portato avanti una sua idea di scultura, quale<br />

strumento di conoscenza del mondo come stratificazione<br />

di memorie, come scoperta della potenzialità energetica<br />

della memoria stessa e delle sue scorie, secondo una processualità<br />

diretta, intuitiva. Colloca spesso i suoi lavori in<br />

dialogo con gli elementi naturali e architettonici dell’ambiente,<br />

unendo una carica di ironia all’intento di scoprire le<br />

possibilità della natura e dello spazio come matrici e riserva<br />

di energia. “Vorrei che nel mio lavoro si avvertissero i processi<br />

che vanno dall’età del ferro al duemila” ha dichiarato.<br />

Con Il carro solare dei Montefeltro (1988), inserito sul porto<br />

di Miramare a Trieste, proponeva uno straordinario carro<br />

formato da due grandi discoidi, tenuti insieme da un asse<br />

che si incurva verso l’alto, a sostenere un terzo discoide.<br />

L’opera intende anche, allo stesso tempo, alludere al carro<br />

trionfale che sta dietro l’allegoria di Piero della Francesca<br />

col ritratto di Federico da Montefeltro. C’è, in molti suoi<br />

lavori, come un senso di sospensione, di ascolto, come<br />

un’attesa di vibrazioni cosmiche (come nella Scultura<br />

atmosferica, 1985), una sorta di grande osservatorio astrale,<br />

o in Ossigeno (1986). Scrive ancora Mattiacci: “Cammino<br />

guardando avanti. Vorrei che il mio lavoro non fosse:<br />

tecnicistico – fantascientifico – artigianale – ma potrebbe<br />

essere: scientifico: con ironia antropologico: come qualcosa<br />

che ti attraversa, come radiazioni fossili fisico: come realtà<br />

elementare: come essenzialità manuale: con sublimazione<br />

mitologico: di culture diverse identificazione: ma non in<br />

un movimento problema: globale maniera: esteso, fluido,<br />

imprendibile. Con la speranza che si possa ancora sognare,<br />

verso il poetico, il filosofico, il musicale”. In questa mostra<br />

Ferro, degli anni Novanta: due cerchi in ferro grezzo di<br />

diametro diverso, collegati tra loro da sbarre in sequenza<br />

obliqua, inscritti in un quadrato. Tre sfere <strong>piccole</strong>, lucide,<br />

ne interrompono, in due punti, l’omogeneità. Una sorta di<br />

ruota fossile? Un reperto di una civiltà perduta?<br />

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