Grandi maestri piccole sculture

Scultura postbellica e contemporanea
Giuliano Vangi
(1931)
Scriveva Mario De Micheli nel 1980: “[...] egli ha
proceduto con accanita costanza alla costruzione di un
linguaggio articolato, su registri diversi dove, accanto
a recuperi stilistici egizi, etruschi, quattrocenteschi,
hanno pure avuto un peso determinante le suggestioni
precedenti di natura astratta e quindi l’espressionismo
e perfino la pop. Tutto ciò non per la civetteria della
citazione o per vanità d’aggiornamento, bensì per la
convinzione della permanente presenza dell’uomo dentro
l’evoluzione delle forme, per la persuasione della
continuità della storia” (G. Vangi, Firenze 1980). Così
delineate le matrici del lavoro dello scultore non è difficile
cogliere il suo percorso, l’approfondimento dei suoi
temi che indagano il rapporto sempre più complesso e
drammatico tra l’umanità e le condizioni estreme di una
progressiva perdita di speranza; il senso di impotenza
di fronte ad un futuro ineluttabile che ci riduce a larve,
a omini smarriti dal volto attonito, quasi impassibili di
fronte al proprio annullamento. Vangi approfondisce e
perfeziona sempre più una tecnica particolare, che lo
vede unire i materiali più diversi (marmo di vari colori –
bianco, rosa, nero – con argento, nichel, avorio e inserti
tecnologici, a dare colore ai suoi inquietanti personaggi,
come nelle statue antiche).
In mostra Paesaggio, una composizione in bronzo del
2000, nella quale un piccolo uomo sembra sperdersi in
un groviglio di tronchi, radici, rami, come in un minaccioso
ingranaggio.
Paesaggio, 2000; bronzo, cm 41x46.
Acquisito dall’artista.
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