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Catalogo Giornate del Cinema Muto 2012 - La Cineteca del Friuli

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Renée Falconetti in <strong>La</strong> Passion de Jeanne d’Arc, Carl Theodor Dreyer, Gaumont, 1928. (Musée Gaumont Collection)<br />

cinematografico, Bernard Natan, che annunciò di aver messo in<br />

cantiere una pellicola sullo stesso soggetto, <strong>La</strong> merveilleuse vie de<br />

Jeanne d’Arc, con l’ex bambina prodigio Simone Genevois nel ruolo di<br />

Jeanne e la regia di Marco de Gastyne. Il film si rivelerà l’esatto opposto<br />

di quello di Dreyer – accattivante e smaccatamente spettacolare – e<br />

per decenni fu accusato <strong>del</strong> fiasco commerciale <strong>del</strong>la Jeanne molto più<br />

d’avanguardia di Dreyer, il che è un nonsenso poiché <strong>La</strong> passion aveva<br />

ormai quasi completato la tenitura nelle sale di prima visione quando<br />

uscì la pellicola rivale.<br />

124<br />

L’attrice alla fine prescelta, Renée Falconetti (1892-1944), aveva<br />

interpretato un paio di ruoli secondari in due produzioni minori<br />

un decennio prima di essere scoperta – ormai attrice di teatro<br />

specializzata nella commedia di costume – da Dreyer. Si narra che<br />

Dreyer l’avesse notata durante una recita di <strong>La</strong> Garçonne e che solo in<br />

seguito, dopo averla vista senza trucco, avesse riconosciuto le qualità<br />

che stava cercando per Jeanne – anche se la Falconetti aveva già 35<br />

anni e la Pulzella era morta a 19. <strong>La</strong> Falconetti, che all’epoca conduceva<br />

una frenetica vita mondana, si dedicò interamente al ruolo; e si narra<br />

che i tecnici abbiano pianto con lei nella scena <strong>del</strong>la rasatura dei capelli.<br />

Ma forse piansero anche i contabili <strong>del</strong>la SGF: quel taglio di capelli era<br />

costato loro 100.000 franchi. Dreyer dichiarò: “Nella Falconetti …<br />

trovai quello che, con un’espressione molto temeraria, potrei definire<br />

‘la reincarnazione <strong>del</strong>la martire’.” E la sua è tuttora universalmente<br />

riconosciuta come una <strong>del</strong>le più grandi interpretazioni <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong><br />

cinema.<br />

Le riprese <strong>del</strong> film durarono dal maggio al novembre 1927, e in quei<br />

sette mesi il grande cameraman ungherese Rudolph Maté e il suo<br />

assistente ceco Gösta Kottula stamparono all’incirca 200.000 metri<br />

di pellicola. Per aiutare la Falconetti a creare il proprio ruolo, il film fu<br />

girato seguendo l’ordine cronologico <strong>del</strong>la vicenda. Pare che Dreyer<br />

fosse una sorta di placido tiranno, che imponeva a tutti gli attori di<br />

presentarsi quotidianamente sul set con indosso i loro costumi e con<br />

le tonsure pronte per l’ispezione <strong>del</strong>lo stesso regista, anche se poi<br />

molti di loro non erano utilizzati per intere settimane. (Tra questi ci<br />

fu il debuttante Michel Simon, che nel montaggio finale ebbe soltanto<br />

un primo piano!) <strong>La</strong> frequente richiesta da parte di Dreyer di scavare<br />

dei buchi per la macchina da presa affinché gli operatori potessero<br />

ottenere i primi piani dal basso che lui esigeva, gli valse il soprannome<br />

di “Carl Gruyère”.<br />

Lo stile di montaggio adottato per il film rappresenta un unicum sia<br />

nell’opera di Dreyer che in quella di qualsiasi altro cineasta. Non<br />

vi sono “inquadrature d’ambientazione” e poche sono anche le<br />

relazioni convenzionali fra inquadrature. Nondimeno il film trasmette<br />

esattamente quella che Roger Elbert ha definito la “terribile intimità”<br />

tra Jeanne e i suoi aguzzini: “Per il pubblico moderno, abituato a un<br />

tipo di cinema che affida l’emozione al dialogo e all’azione più che<br />

ai volti, un film come <strong>La</strong> passione de Jeanne d’Arc è un’esperienza<br />

sconvolgente, così intima da farci temere la rivelazione di segreti che<br />

forse non vorremmo conoscere. Il nostro coinvolgimento emotivo nei<br />

confronti di Jeanne è talmente potente che i metodi visivi di Dreyer<br />

– i suoi angoli di ripresa, il suo montaggio, i suoi primi piani – non<br />

rappresentano soltanto scelte stilistiche, ma frammenti <strong>del</strong>l’esperienza<br />

stessa di Jeanne. Esausta, affamata, infreddolita, costantemente<br />

intimorita, appena diciannovenne al momento <strong>del</strong>la sua morte, vive<br />

in un incubo dove i volti dei suoi persecutori si ergono come demoni<br />

spettrali.” Per Cocteau il film era come il “un documento storico di<br />

un’epoca in cui il cinema non esisteva”.<br />

Quella di <strong>La</strong> passion de Jeanne d’Arc è una storia piena di calamità. Alla<br />

vigilia <strong>del</strong>la première parigina, e nuovamente il giorno che precedette<br />

quella di Copenaghen <strong>del</strong> 21 aprile 1928, un cospicuo numero di scene<br />

fu tagliato dai censori (tagli che comunque di certo non inclusero, come<br />

vorrebbe il mito, scene – per altro storicamente inaccurate – di Jeanne<br />

sottoposta a torture). Nel dicembre <strong>del</strong> 1928 un incendio distrusse<br />

il negativo negli stabilimenti berlinesi <strong>del</strong>l’Ufa – l’unico laboratorio<br />

europeo <strong>del</strong>l’epoca attrezzato per lo sviluppo e la stampa <strong>del</strong>la nuova<br />

pellicola pancromatica, che aveva consentito a Dreyer di esimere gli<br />

attori dall’uso <strong>del</strong> trucco. Con l’aiuto <strong>del</strong>la sua montatrice, Marguerite<br />

Beaugé (assidua collaboratrice di Gance), Dreyer rimontò un nuovo<br />

125<br />

negativo utilizzando i “doppi”, ma anche questo andò distrutto poco<br />

dopo in un incendio scoppiato nel laboratorio. Nel 1952 riapparve un<br />

internegativo misteriosamente conservato nei magazzini sotterranei<br />

<strong>del</strong>la Gaumont – che permise al critico Lo Duca di rieditare una nuova<br />

versione <strong>del</strong> film corredandola di un potpourri musicale che suscitò<br />

l’indignazione di Dreyer.<br />

Nel 1981, tuttavia, una copia di prima generazione priva di tagli e<br />

con le didascalie in danese, fu ritrovata nell’armadio di un ospedale<br />

psichiatrico nei pressi di Oslo, ancora nel pacco che era stato inviato<br />

al direttore <strong>del</strong> Dikemark Sygehaus, Dr. Harald Arnesen, e corredata<br />

di un visto di censura <strong>del</strong> 1928. <strong>La</strong> copia fu affidata alle cure <strong>del</strong> Danske<br />

Filminstitut e le didascalie francesi furono ricostruite da Maurice<br />

Drouzy per conto <strong>del</strong>la Cinémathèque française. Quest’ultima<br />

versione, sicuramente la più vicina all’originale pre-censura <strong>del</strong> 1928, è<br />

quella presentata alle <strong>Giornate</strong> <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> <strong>Muto</strong> <strong>del</strong> <strong>2012</strong>.<br />

LENNY BORGER<br />

With its production of Abel Gance’s Napoléon just beginning a<br />

seemingly triumphant but finally doomed international career, the<br />

Société Générale de Films, France’s most audacious independent<br />

film firm, embarked on another massive historical épopée, <strong>La</strong> Passion<br />

de Jeanne d’Arc. Its eventual budget was 9 million francs, against<br />

approximately 18 million for Napoléon. On the strength of the<br />

success in France of Master of the House (Du skal ære din Hustru,<br />

1925) the Danish Carl Theodor Dreyer was invited to direct. He was<br />

given a choice of three female historical characters as a subject for<br />

his film – Jeanne d’Arc, Catherine de Medici, and Marie Antoinette.<br />

Jeanne d’Arc was irresistible and eminently topical. Canonized in 1920,<br />

she was to remain France’s best-loved national saint. In 1925 Joseph<br />

Delteil’s romanticized novel Jeanne d’Arc had won the Prix Femina but<br />

outraged both Right and Left, and powerful elements of the Catholic<br />

Church, as well as Delteil’s former Surrealist friends: André Breton<br />

condemned the book as “une vaste saloperie”, and the Surrealists<br />

would cheerfully extend similar insults to Dreyer’s film.<br />

The SGF brought together Dreyer and Delteil to write the script for<br />

<strong>La</strong> Passion de Jeanne d’Arc, but Dreyer quickly found the arrangement<br />

incompatible. He decided to start from scratch, picking up the action<br />

from the beginning of Joan’s 1431 trial in Rouen. The film’s opening<br />

titles claim that what follows is directly transcribed from surviving<br />

records of the trial. The historical background of the Hundred Years<br />

War, Jeanne’s extraordinary military successes, and her eventual<br />

betrayal and sale to the English are virtually ignored: Jeanne’s<br />

inquisitors are concerned only to extort a confession that the visions<br />

that inspired her did not come from God. Under threat of torture<br />

she signs a statement, but retracts, and is burned at the stake. In a<br />

final sequence, not justified by history, but providing the film’s only<br />

moments of conventional spectacle, the onlookers are moved by her<br />

martyrdom to rise against their oppressors.<br />

Like Gance, Dreyer seems to have been given a free hand and<br />

unlimited budget. The interiors were shot at the new studios in<br />

CANONE RIVISITATO<br />

CANON REVISITED

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