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AA.VV. - Racconti matematici - CTS Basilicata

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momento di urbanizzazione accelerata, e proprio perciò caotica. C’erano pensioni in<br />

ogni strada e di ogni categoria, alberghi a una, due, tre, quattro, cinque stelle e di<br />

lusso, bordelli a profusione, chiese di tutte le confessioni riconosciute legalmente e<br />

alcune clandestine, botteghe a carattere familiare e grandi magazzini, un’infinità di<br />

case, palazzi con uffici, delegazioni, sedi municipali varie. Seguirono i trasporti<br />

collettivi, il mantenimento dell’ordine, la circolazione forzata, il problema del traffico.<br />

E un certo grado di delinquenza. Un solo punto fermo si manteneva: tenere i morti<br />

fuori dalla vista dei vivi, e quindi nessun edificio poteva essere più alto di nove metri.<br />

Anche questo problema, però, finì per trovare soluzione in seguito, quando un<br />

fantasioso architetto inventò l’uovo di Colombo: muri più alti di nove metri per edifici<br />

più alti di nove metri.<br />

Con il passare del tempo, il muro del cimitero divenne irriconoscibile: invece della<br />

levigata uniformità iniziale che si prolungava per quaranta chilometri, si cominciò a<br />

vedere un dentellato irregolare, anch’esso variabile nell’intensità e nell’altezza, in<br />

base al lato del muro. Nessuno ha più memoria di quando fosse stato ritenuto<br />

conveniente far montare infine i portoni del cimitero. L’impiegato che aveva pensato<br />

di risparmiare questa spesa era morto e passato all’interno e non poteva più difendere<br />

la propria tesi un tempo buona, ma adesso insostenibile, come egli stesso non avrebbe<br />

potuto esimersi dal riconoscere: cominciavano a diffondersi storie di anime dell’aldilà,<br />

di fantasmi e apparizioni. Che cos’altro si poteva fare se non montare i portoni?<br />

Quattro grandi città si frapposero così fra il regno e il cimitero, ciascuna rivolta<br />

verso il proprio punto cardinale, quattro città inattese che cominciarono a chiamarsi<br />

Cimitero-Nord, Cimitero-Sud, Cimitero-Oriente, Cimitero-Occidente, ma che poi<br />

furono più benignamente battezzate e denominate, nell’ordine, Uno, Due, Tre e<br />

Quattro, giacché si erano rivelati inutili tutti i tentativi di attribuire loro nomi più<br />

poetici o commemorativi. Queste quattro città erano quattro barriere, quattro muraglie<br />

vive di cui il cimitero si circondava e con le quali si proteggeva. Il cimitero<br />

rappresentava cento chilometri quadrati di silenzio e solitudine quasi totali, circondati<br />

dal formicaio esterno dei vivi, da grida, da clacson, da risate, da frasi sconnesse, da<br />

rombi di motori, dall’incessante mormorio delle cellule. Arrivare al cimitero era<br />

diventata un’avventura. All’interno delle città, dopo tanti anni, nessuno riusciva a<br />

ricostruire il tracciato rettilineo delle antiche strade. Era facile dire dove<br />

probabilmente passavano un tempo: bastava mettersi in direzione del portone<br />

principale di ciascun lato. Ma, tranne alcune porzioni più grandi di pavimentazione<br />

riconoscibile, il resto si perdeva nella confusione degli edifici e delle strade, all’inizio<br />

improvvisate e poi sovrappostesi all’originario tracciato. Solo in aperta campagna la<br />

strada era ancora la strada dei morti.<br />

E poi accadde l’inevitabile, ma non si sa ancora in definitiva chi vi diede inizio e<br />

quando. Un’indagine sommaria, effettuata in seguito, accertò alcuni casi persino nella<br />

periferia esterna della Città Due, la più povera di tutte, quella rivolta a sud, come si è<br />

già detto: corpi seppelliti in piccoli giardini domestici, sotto i fiori vivi che si<br />

rinnovano a ogni primavera. Nello stesso periodo, come quelle grandi invenzioni che<br />

irrompono in più cervelli simultaneamente perché è arrivato il loro tempo e sono<br />

maturate, in luoghi poco abitati del regno alcune persone decisero, per tante, svariate e<br />

talvolta opposte ragioni, di seppellire i morti proprio lì accanto, dentro grotte, ai lati di<br />

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