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AA.VV. - Racconti matematici - CTS Basilicata

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dice che, ridotto al ruolo di marginale eccentrico, dopo la guerra Turing era diventato<br />

un «non-personaggio», il Trotzky della rivoluzione informatica.<br />

Collaborava, è vero, al programma di Manchester, ma i responsabili del laboratorio<br />

tenevano sempre meno in conto il suo parere (il software, prima di tutto il software!),<br />

e non trovarono di meglio che affidargli la redazione di un Manuale per l’uso e la<br />

composizione di programmi con routines, subroutines, sub-subroutines, ad esempio<br />

per scoprire grandi numeri primi (domanda: 2 elevato a 127 – 1 è un numero primo?<br />

Trovate la procedura più rapida per rispondere). Turing ripiegò dunque sulla teoria e,<br />

sottoforma di un articolo apparso sulla rivista Mind nel 1950, apportò il proprio<br />

contributo al dibattito sull’intelligenza artificiale che vedeva opporsi, allora come ora,<br />

il partito dei materialisti, persuasi che almeno in teoria tutte le operazioni della mente<br />

umana possano essere scomposte, e quindi riprodotte, e quello degli spiritualisti, i<br />

quali sostenevano che ci sarà sempre un residuo ribelle all’algoritmo – residuo che, a<br />

seconda del cenacolo, verrà chiamato spettro nella macchina coscienza riflessiva,<br />

paradosso dell’autoriferimento o semplicemente anima.<br />

Per vederci più chiaro e riscattare la questione da quella vaga enfasi che tanto<br />

piaceva ad un “profeta” come Wiener, Turing cominciò con l’inventariare le<br />

argomentazioni passate, presenti e future che negavano la possibilità di un’intelligenza<br />

artificiale: le macchine fanno soltanto ciò per cui sono state programmate, sono<br />

specializzate, non hanno gusti, capricci, emozioni, non possono né soffrire né amare le<br />

fragole con la panna e così via. Quindi, ritenendole tutte insufficienti, propose che per<br />

decidere se una macchina può pensare come un uomo ci si attenesse a un criterio<br />

unico, operazionista: è capace o non è capace di far credere a un uomo che pensa<br />

come lui?<br />

Il fenomeno della coscienza non può che essere osservato dall’interno. Io so che ne<br />

ho una, è anzi grazie a lei che lo so, ma per quanto riguarda voi, non c’è nulla che me<br />

lo provi. In compenso posso dire che emettete dei segnali, in particolare gestuali e<br />

verbali da cui, per analogia con i miei, deduco che pensate e sentite come me. Ora,<br />

disse Turing, ammettiamo che, in un vicino o lontano futuro, una macchina possa<br />

essere programmata in modo tale da emettere in risposta a determinati stimoli segnali<br />

ugualmente convincenti: non ci sarebbe motivo di negarle lo status di essere pensante.<br />

Posto questo criterio, Turing elaborò un test che – cosa piuttosto insolita – presentò<br />

in due tempi. Dapprima descrisse un gioco di società (non so se di sua invenzione)<br />

chiamato gioco dell’imitazione, che consiste nell’isolare in tre diverse stanze un<br />

uomo, una donna e un esaminatore – non importa di che sesso. Questo esaminatore<br />

comunica per iscritto con i due giocatori e bombarda entrambi di domande volte a<br />

stabilire chi è l’uomo e chi la donna. Ora, mentre quest’ultima risponde in tutta<br />

franchezza, rivelando quindi il proprio sesso senza ambiguità, l’uomo cerca di<br />

spacciarsi per la donna (e, beninteso, si è seriamente documentato sulle questioni<br />

tradizionalmente di competenza femminile: cucina, prezzo di collant e assorbenti<br />

igienici).<br />

Adesso, propose Turing, sostituiamo l’uomo con un computer e vediamo che cosa<br />

accade se l’obiettivo di quest’ultimo è di spacciarsi per l’essere umano, e dunque di<br />

squalificare quest’ultimo. Le domande possono spaziare dal sapore della crostata ai<br />

mirtilli ai ricordi d’infanzia alle preferenze erotiche o, al contrario, consistere in<br />

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