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AA.VV. - Racconti matematici - CTS Basilicata

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operazioni di calcolo che presumibilmente l’uomo dovrebbe svolgere più lentamente<br />

della macchina, e con esito peggiore. Sono ammesse domande di ogni tipo, anche le<br />

più intime e strampalate: i koan zen sono una classica tecnica di confusione. Dal canto<br />

loro, i candidati si dànno da fare per convincere l’esaminatore di essere umani, uno in<br />

assoluta buona fede, l’altro ricorrendo alle mille astuzie previste dal suo programma –<br />

vedi sbagliare deliberatamente l’estensione decimale di pi greco. Alla fine<br />

l’esaminatore emette il suo verdetto. Se si sbaglia, la macchina ha vinto. Allora,<br />

secondo Turing, si è costretti ad ammettere che pensa, e se lo spiritualista di turno<br />

insiste che non si tratta veramente di un pensiero umano non gli resta che dimostrarlo.<br />

E Turing può permettersi di ribadire che nessuno, uomo o macchina che sia, pensa<br />

veramente, esegue veramente operazioni matematiche, gioca veramente a scacchi; e<br />

forse, addirittura, nessuno prova veramente la dolcezza di una carezza: a livello di<br />

sistema formale tutti, uomini e macchine, manipolano simboli – e si dà il caso che<br />

questa manipolazione possa, a un altro livello, essere designata con il nome delle<br />

diverse attività menzionate.<br />

Alcune settimane dopo la pubblicazione di questo articolo, che nel mondo<br />

dell’intelligenza artificiale è tuttora considerato un testo di riferimento, all’autore<br />

accadde una cosa terribile, che con il gioco dell’imitazione ha qualche parentela.<br />

Turing era omosessuale. Per quanto lo riguardava, era sufficientemente libero da<br />

condizionamenti per non sentirsi in colpa, ma la società in cui viveva non era certo<br />

delle più libere. Costretto a nascondere la propria natura, a spacciarsi per ciò che non<br />

era, amava paragonarsi a un abitante del mondo dello specchio di Lewis Carroll, la cui<br />

percezione delle cose è rovesciata. Un giorno gli svaligiarono la casa. Con ogni<br />

probabilità era stato uno dei suoi amanti. Nella deposizione alla polizia Turing<br />

accennò a questo sospetto, e di conseguenza alla propria omosessualità, incorrendo<br />

così, inconsapevolmente, nella legge che vietava le relazioni contro natura anche tra<br />

adulti consenzienti (la stessa legge che, quasi sessant’anni prima, aveva valso una<br />

condanna a Oscar Wilde). Ci fu un processo, Turing fu giudicato colpevole e,<br />

sfuggendo per un pelo alla prigione, fu condannato a subire – ovviamente per il suo<br />

bene – una cura in cui diverse commissioni di legisti e medici dell’epoca confidavano<br />

per correggere i deviati. Per un anno gli furono dunque iniettati degli ormoni<br />

femminili che lo resero impotente, gli fecero crescere i seni, gli inibirono la crescita<br />

della barba e trasformarono la voce, già penosamente stridula. Turing sopportò il<br />

supplizio senza un lamento, riuscendo persino a scherzarci sopra e ad approfittarne per<br />

fare un outing quasi disinvolto con i colleghi e parte della famiglia. Trascorso un<br />

anno, purgata la pena, a poco a poco recuperò la sua integrità, e a tutti sembrò aver<br />

superato la prova con sconcertante coraggio. Intraprese una psicoanalisi (pur<br />

rifiutando di considerare l’omosessualità come una malattia da cui avrebbe dovuto<br />

guarire), lesse con passione Guerra e pace e Anna Karenina (lui che non leggeva mai<br />

narrativa) e, definitivamente tagliato fuori dall’università, ripose tutte le sue speranze<br />

di rinascita scientifica in una serie di ricerche da autodidatta sull’embriologia e la<br />

morfogenesi. In sostanza si domandava come avviene che gli esseri viventi conoscano<br />

e applichino il loro programma. Testava i suoi modelli sul computer, che gli<br />

permettevano di usare due notti la settimana senza sapere bene cosa ci facesse, ma<br />

anche a casa propria, seguendo dei protocolli estremamente personali. Casa sua si<br />

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