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AA.VV. - Racconti matematici - CTS Basilicata

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delle grandi scoperte di un’epoca in cui le grandi scoperte miravano a restringere o<br />

minare il campo della scienza, fu opera di Kurt Gödel, che con il suo famoso teorema<br />

dell’incompletezza, su cui sono state scritte intere biblioteche, dimostra con<br />

straordinaria eleganza come non ci si possa aspettare dai <strong>matematici</strong> che dicano la<br />

verità più di quanto facciano i cretesi, che si dichiarano essi stessi bugiardi.<br />

Tutto ciò accadeva nel 1931. Alan Turing aveva vent’anni. Era un timido<br />

spilungone mal lateralizzato e scoordinato, che si dedicava alla corsa di fondo nel<br />

tentativo di correggere la propria goffaggine (e forse anche di combattere la<br />

masturbazione). A Cambridge, dove studiava matematica, non frequentava le<br />

consorterie di esteti chic nella tradizione di Bloomsbury, ma se ne stava in disparte e<br />

scriveva alla madre – una corrispondenza che verteva principalmente sulla biancheria<br />

intima e sugli animali di peluche. A parte questo, avendo Gödel liquidato la questione<br />

della completezza, Turing decise di lavorare su quella della decidibilità. E non solo la<br />

smontò, infliggendo un ulteriore colpo all’ottimistico programma di Hilbert, ma<br />

casualmente s’imbatté in altro.<br />

In matematica esiste una quantità di affermazioni riguardanti dei numeri che, da<br />

secoli, nessuno ha mai saputo dimostrare o confutare (esempio canonico: l’ultimo<br />

teorema di Fermat). Turing si domandò se esistesse, o se si potesse immaginare una<br />

procedura meccanica che consentisse di farlo (poco importava quanto tempo ci<br />

sarebbe voluto: l’essenziale era dimostrare che tale dimostrazione poteva in qualche<br />

modo essere raggiunta). Quindi si domandò che cosa fosse di preciso una procedura<br />

meccanica, e approdò a una domanda che, al gotha dei <strong>matematici</strong> puri, poteva<br />

soltanto apparire incongrua: che cos’è una macchina?<br />

Sappiamo che cos’è uno strumento. Crediamo di sapere cosa sia un essere vivente.<br />

Ma una macchina? Per descriverla nel modo più piano, è un manufatto dotato di un<br />

numero finito di configurazioni che per ognuna di esse si comporta in modo<br />

assolutamente determinato, e che manipola dei simboli. Manipolare simboli<br />

conformemente a delle regole è un’attività priva di senso, diciamo pure non figurativa,<br />

che però descrive ciò che a un altro livello chiamiamo per esempio giocare a scacchi,<br />

tradurre (o comporre) poesie cinesi, cercare dei numeri primi, e forse persino (ma<br />

andiamo per ordine) sostenere una conversazione, seppur sconnessa. Queste attività si<br />

differenziano le une dalle altre grazie a delle regole. Perciò Turing ritenne inutile<br />

costruire macchine specializzate, capaci di giocare a scacchi, tradurre poesie cinesi e<br />

così via: il procedimento adeguato consisteva piuttosto nel definire, per ciascuna di<br />

queste attività, la tavola delle regole, per poi introdurla in una macchina universale<br />

che, avendone a disposizione il codice, sarebbe stata in grado di simulare qualsiasi<br />

macchina specializzata. Oggi i concetti di hardware e software sono ormai alla portata<br />

di tutti, e tutti dànno per scontata la superiorità del secondo; ma quando Turing la<br />

formulò, nel 1934, quest’idea era così nuova che nessuno – o quasi – la raccolse. I<br />

lettori del suo articolo si entusiasmarono per il risultato che Turing aveva perseguito in<br />

un primo tempo, ovvero la dimostrazione formale, paragödeliana, che nessuna<br />

macchina miracolosa avrebbe mai potuto risolvere tutti i problemi <strong>matematici</strong>; ma<br />

nemmeno si accorsero di quest’altro risultato, conseguito per così dire strada facendo<br />

e in risposta alle esigenze della dimostrazione stessa (infatti, perché la prova<br />

somministrata a Hilbert fosse valida, occorreva che la macchina ipotizzata fosse<br />

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