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AA.VV. - Racconti matematici - CTS Basilicata

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oggigiorno, può provare sensazioni così fantastiche.<br />

A questo scandalo intellettuale il matematico reagisce in modo esemplare: lo<br />

sopporta con orgogliosa fiducia nella diabolica pericolosità del proprio intelletto. E<br />

potrei addurre altri esempi, come quello dei fisici <strong>matematici</strong>, che a un tratto si<br />

accinsero con foga a negare l’esistenza dello spazio o del tempo. Ma non da sognatori<br />

e alla lontana, come, di tanto in tanto, si mettono a fare anche i filosofi (che tutti sono<br />

pronti a scusare, perché è il loro mestiere); macché: con argomenti che ti sbucano<br />

davanti all’improvviso come un’auto in corsa e hanno un aspetto terribilmente<br />

credibile. Tanto basta per capire che razza di gente sia.<br />

Noialtri dopo l’Illuminismo ci siamo persi di coraggio. È bastato un piccolo<br />

fallimento per farci voltare le spalle all’intelletto, e permettiamo a ogni esaltato<br />

zuccone di tacciare di vano razionalismo le aspirazioni di D’Alembert e di Diderot.<br />

Andiamo in visibilio per il sentimento e diamo addosso all’intelletto, dimenticando<br />

che il sentimento senza intelletto – fatte le debite eccezioni – è grasso come un<br />

ricciolo di burro. così abbiamo rovinato a tal punto la nostra letteratura che, dopo aver<br />

letto di seguito due romanzi tedeschi, dobbiamo risolvere un integrale per dimagrire.<br />

Non si ribatta che i <strong>matematici</strong>, fuori della loro materia, hanno solo idee banali,<br />

quando ne hanno, e che persino la loro logica li pianta in asso. Quello non è affar loro.<br />

Ma essi sanno fare nel proprio campo ciò che noi dovremmo fare nel nostro. Per<br />

questo la loro vita ha molto da insegnarci e può essere per noi un modello: i<br />

<strong>matematici</strong> sono un’analogia dell’uomo spirituale dell’avvenire.<br />

Se tra queste considerazioni semiserie sui <strong>matematici</strong> ha fatto capolino anche un po’<br />

di serietà, le frasi conclusive non sembreranno fuori luogo. La nostra epoca, ci si<br />

lagna, non ha una “cultura”. La frase può avere vari significati. Ma in fondo la<br />

“cultura” è sempre stata una forma di unità: creata dalla religione, da una forma<br />

sociale oppure dall’arte. Per la forma sociale siamo in troppi. E anche per la religione<br />

siamo in troppi (anche se qui questo giudizio può essere enunciato ma non<br />

dimostrato).<br />

Quanto all’arte, siamo la prima epoca della storia che sa non amare i suoi poeti.<br />

Eppure la nostra epoca possiede energie spirituali superiori a ogni altra, e in essa<br />

inoltre lo spirito è concorde e unitario come non era mai stato. È da sciocchi affermare<br />

che il perno di tutto ciò è soltanto un sapere: perché la nostra meta è già da un pezzo il<br />

pensare. Un pensiero che pretende di essere profondo, ardito, originale; ma che per ora<br />

si limita al piano esclusivamente razionale e scientifico. L’intelletto, però, si spande<br />

all'intorno, e appena tocca il sentimento, diventa spirito. È ai poeti che spetta fare<br />

questo passo. E per compierlo non hanno bisogno di imparare un metodo (come la<br />

psicologia – Dio ne scampi! – o roba del genere), ma solo di imparare a essere esigenti<br />

con se stessi. E invece i poeti non sanno che pesci pigliare, e si consolano imprecando.<br />

Ma anche se i loro contemporanei, da soli, non riescono a far diventare realtà umana il<br />

proprio livello di pensiero, essi avvertono tuttavia ciò che nei loro poeti è al di sotto<br />

del proprio livello di pensiero.<br />

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