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Storia della Venezia Giulia - Associazione Giuliani nel Mondo

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tore Carlo V, ma sotto il regno di suo fratello Ferdinando, più tollerante nei confronti<br />

dei sudditi di religione luterana, potè predicare anche a Gorizia, pur suscitando preoccupazione<br />

e proteste.<br />

Grazie a Trubar, che diffuse il suo pensiero utilizzando anche la stampa, la lingua slovena<br />

acquisì maggiore dignità. Lo sloveno infatti a quel tempo, pur essendo parlato<br />

da un grande numero di persone <strong>nel</strong>la Contea, non era ancora una lingua scritta. Non<br />

si conoscono infatti testimonianze scritte in quest’area territoriale fino al 1551, anno a<br />

cui risalgono alcuni brevi testi sloveni ad uso ecclesiastico. In questi stessi anni venne<br />

pubblicato il primo libro in sloveno, il “catechismus”, stampato <strong>nel</strong> 1550 in<br />

Germania, a cui fecero seguito libri di preghiere, testi religiosi -tra cui appunto gli scritti<br />

di Trubar- e una Grammatica. Ancora per i due secoli successivi però quasi tutti gli<br />

scrittori sloveni per comporre le loro opere continuarono ad utilizzare il tedesco,<br />

il latino o l’italiano, perché la lingua slovena non aveva ancora raggiunto la stabilità<br />

e l’uniformità necessarie per essere usata <strong>nel</strong>la letteratura e perciò non aveva una tradizione<br />

scritta. A quel tempo la popolazione che parlava lo sloveno era in gran parte<br />

contadina e non aveva accesso all’istruzione, che comunque veniva sempre impartita in<br />

tedesco, latino e italiano. Bisognerà attendere fino agli inizi dell’Ottocento per vedere<br />

pubblicati i primi libri di poesie e di scritti in prosa in sloveno.<br />

Il Seicento<br />

Nel Seicento i territori <strong>della</strong> Contea di Gorizia si estendevano dalle valli dell’Isonzo<br />

e del Vipacco al Collio e al Carso, e comprendevano la pianura fra Rubbia e Medea e<br />

fra Cormons ed Aquileia. L’Austria, guidata a quel tempo da Ferdinando II, sostenne tra<br />

il 1615 e il 1618 una serie di scontri molto sanguinosi con i <strong>Venezia</strong>ni (guerra di<br />

Gradisca) che dopo aver conquistato Cormons ed Aquileia miravano a Gorizia, ma il<br />

conte Riccardo di Strassoldo li fermò proprio a Gradisca. Qualche anno più tardi, <strong>nel</strong><br />

1647, gli Asburgo per ricavare il denaro necessario per rimpinguare le casse imperiali<br />

dopo le ingenti spese sostenute durante la guerra dei Trent’anni decisero di vendere<br />

Gradisca alla famiglia degli Eggenberg, suscitando naturalmente molte polemiche<br />

perché il territorio gradiscano era il granaio <strong>della</strong> città. Il distacco <strong>della</strong> Contea di<br />

Gradisca durò fino al 1754, quando la famiglia si estinse.<br />

La fine <strong>della</strong> guerra dei Trent’anni (1648) consentì alla dinastia asburgica di concentrare<br />

le proprie forze sul problema dell’unità religiosa, che venne ristabilita con la persecuzione<br />

dei protestanti e grazie all’opera capillare dei Gesuiti. Questo rafforzò la<br />

coesione tra le molte etnie sottoposte agli Asburgo e consentì di fronteggiare con successo<br />

la pressione ottomana.<br />

Nel corso del Cinquecento e dei primi decenni del Seicento infatti i Turchi avevano<br />

conquistato l’Albania, la Bulgaria, la Romania e parte dell’Ungheria, sottoponendo ad<br />

una costante minaccia le frontiere orientali dell’Impero asburgico, che era rimasto<br />

l’unico stato cristiano, accanto a <strong>Venezia</strong>, in grado di contrastare la loro avanzata. Gli<br />

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