Storia della Venezia Giulia - Associazione Giuliani nel Mondo
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Piedimonte-Podgora, vennero chiuse le scuole e sbarrate le porte delle chiese e venne<br />
anche creato un lazzaretto <strong>nel</strong>la zona di Sant’Andrea, ma a Gorizia ci furono ugualmente<br />
cinquecento vittime, circa il 10% <strong>della</strong> popolazione. Non deve meravigliarci il<br />
fatto che <strong>nel</strong> Seicento gli abitanti fossero “solamente” cinquemila, poiché anche<br />
<strong>nel</strong>la vicina Trieste, per esempio, si contavano circa quattromila cittadini e <strong>nel</strong>la penisola<br />
italiana, duramente colpita dalla peste diffusa dai soldati spagnoli, 13 milioni<br />
all’inizio del secolo e 11,5 milioni negli anni Sessanta. Soltanto a partire dalla metà del<br />
Settecento, grazie alla scomparsa dal continente europeo <strong>della</strong> peste, ad un miglioramento<br />
del clima ed ai conseguenti migliori raccolti, il tasso di mortalità diminuì e la<br />
popolazione italiana, in linea con quella europea, cominciò a crescere rapidamente:<br />
dagli undici milioni <strong>della</strong> fine del Seicento si passò ai 18 <strong>della</strong> fine del Settecento.<br />
La piccola comunità ebraica di Gorizia, composta da circa 300 persone, pochi anni<br />
dopo l’epidemia di peste del 1682 fu costretta a trasferirsi per decreto dell’imperatore<br />
Leopoldo I (1696) in un quartiere separato, chiamato ghetto. In altre città la<br />
consuetudine di far abitare gli ebrei in un quartiere a loro riservato era iniziata già a<br />
partire dal 1516, quando a <strong>Venezia</strong> era stato eretto il primo ghetto, <strong>nel</strong>le vicinanze di<br />
una fonderia, in dialetto locale appunto“geto”. Fu però dopo il concilio di Trento che<br />
la Chiesa raccomandò con insistenza che fossero delimitate aree apposite in ogni città,<br />
chiuse di notte da cancelli. Anche a Gradisca era presente una piccola comunità<br />
ebraica, che viveva <strong>nel</strong> ghetto (Calle del Tempio) dove aveva una sinagoga, una scuola<br />
frequentata da una ventina di allievi ed un cimitero. Il ghetto di Gorizia venne collocato<br />
invece <strong>nel</strong>l’area dell’attuale via Ascoli, in una posizione che allora era periferica<br />
e malsana, in quanto confinante con la chiesa di San Giovanni, <strong>nel</strong> cui cimitero<br />
erano state sepolte le vittime dell’epidemia. I proprietari delle case <strong>della</strong> contrada San<br />
Giovanni furono così costretti a vendere le loro abitazioni agli ebrei, che dovettero<br />
vivere in questo quartiere fino al 1781, quando, all’epoca dell’imperatore Giuseppe II,<br />
fu abolito l’obbligo di risiedervi. Nonostante molte restrizioni la comunità ebraica<br />
godette di una notevole libertà in campo economico e sviluppò una florida industria<br />
tessile. Creò subito un oratorio dove svolgere le funzioni religiose e <strong>nel</strong> 1756 aprì<br />
anche una Sinagoga, che ancor oggi si può visitare.<br />
La vendita di Gradisca alla famiglia degli Eggenberg come abbiamo visto aveva provocato<br />
malumori e polemiche, e così l’imperatore Leopoldo I <strong>nel</strong> 1660 decise di<br />
prestare maggiore attenzione al clima diffusosi <strong>nel</strong>la Contea e scese per visitare<br />
la città e riceverne l’atto di omaggio. Anche lui, come l’arciduca Carlo cent’anni<br />
prima, fu accolto con manifestazioni di entusiasmo e di fedeltà. Egli apprezzò<br />
molto l’ospitalità <strong>della</strong> gente <strong>della</strong> Contea, e confidò scherzosamente in una lettera<br />
al conte Giuseppe Rabatta che se vi avesse soggiornato a lungo sarebbe divenuto<br />
“tutto furlano”, dato che sentiva parlare soltanto in lingua italiana. In suo onore<br />
fu costruita la “porta Leopoldina” per accedere alla cinta muraria meridionale del<br />
Castello.<br />
Per fronteggiare la diffusione del pensiero luterano tra la fine del Cinquecento e il<br />
Seicento giunsero in città diversi ordini religiosi , aggiungendosi ai Francescani pre-<br />
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