Storia della Venezia Giulia - Associazione Giuliani nel Mondo
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ed approvato i suoi piani politici dovevano essere mandati a morte. In Istria l’ordine<br />
venne eseguito eliminando, a volte per impiccagione o decapitazione, altre volte dopo<br />
averli torturati in modo disumano, 36 sacerdoti.<br />
Le case, i campi e tutti i beni che gli esuli avevano lasciato furono nazionalizzati e utilizzati<br />
dal Governo italiano per pagare alla Jugoslavia i danni di guerra. Sulla possibilità<br />
di restituzione di tali beni è aperto un tavolo di negoziato con la Croazia e la Slovenia.<br />
Sarebbe bello poter dire che l’Italia accolse gli esuli con manifestazioni di solidarietà,<br />
ma in molti casi non fu affatto così. Gli esuli chiesero di poter rimanere uniti, di creare<br />
delle piccole città, ma il governo si oppose ai concentramenti e decise di disperdere<br />
i profughi in tutte le regioni. Lo stato offrì assistenza, ma in varie località il loro<br />
arrivo fu visto con ostilità e sospetto da parte di alcune forze politiche. Gli esuli che<br />
non avevano parenti pronti ad accoglierli furono disseminati in oltre un centinaio di<br />
campi profughi sparsi in tutta Italia, dove vissero per anni in attesa di trovare un<br />
lavoro e una casa e dove le condizioni di vita, soprattutto nei primi anni, furono molto<br />
difficili. La vita quotidiana era caratterizzata da gravi ristrettezze economiche e da<br />
una totale mancanza di intimità <strong>della</strong> vita familiare, oltre che da discriminazioni.<br />
D’altra parte lo stato in quegli anni si trovava in una situazione di crisi economica, e<br />
dovette alloggiare gli esuli in vecchie caserme e scuole. In ogni stanzone, dove furono<br />
costrette a convivere decine di persone di ogni età, divise per nucleo familiare, per<br />
offrire un minimo di privacy inizialmente furono tesi dei fili di ferro, a cui vennero<br />
appese delle coperte, ma dopo qualche mese si riuscì a costruire dei divisori in legno.<br />
La permanenza nei campi si protrasse a lungo, tanto che alcune famiglie continuarono<br />
a viverci fino alla fine degli anni Sessanta. Tutti gli esuli, sebbene con sofferenza<br />
e fatica, ricostruirono la loro esistenza e si inserirono con successo <strong>nel</strong>la vita delle<br />
città che li avevano ospitati, <strong>nel</strong> mondo del lavoro come <strong>nel</strong>la vita associativa e <strong>nel</strong>la<br />
politica. Le comuni esperienze rafforzarono i legami tra le famiglie che, almeno inizialmente,<br />
preferirono rimanere unite tra loro in piccole comunità e risiedere nei<br />
“Quartieri dell’esule”che vennero costruiti negli anni Cinquanta. Numerosi (circa 80<br />
mila) furono poi quelli che decisero di emigrare all’estero, sia verso nazioni europee sia<br />
verso destinazioni lontane come l’America o l’Australia. A Gorizia molti esuli furono<br />
inizialmente ospitati alle “Casermette”, <strong>nel</strong> quartiere di Montesanto, finché <strong>nel</strong> 1950<br />
grazie a fondi americani venne costruito in Campagnuzza il “villaggio dell’esule”, a cui<br />
fecero seguito la costituzione <strong>della</strong> parrocchia <strong>della</strong> Madonna <strong>della</strong> Misericordia e la<br />
costruzione <strong>della</strong> chiesa, progettata dall’architetto Giordano Malni.<br />
Dopo sessant’anni gli esuli continuano ancora a mantenersi in contatto tramite varie<br />
associazioni e pubblicazioni. Per svolgere funzioni assistenziali e per mantenere vivo il<br />
ricordo delle tradizioni <strong>della</strong> loro terra e i contatti tra le famiglie disperse <strong>nel</strong> mondo,<br />
gli esuli infatti crearono diverse associazioni, di cui l’<strong>Associazione</strong> Nazionale <strong>della</strong><br />
<strong>Venezia</strong> <strong>Giulia</strong> e Dalmazia è la più presente sul territorio nazionale, con un’intensa<br />
attività culturale ed editoriale; molti, infatti, sono i periodici legati al mondo dell’esodo<br />
pubblicati in tutto il mondo.<br />
Non tutti comunque se ne andarono dalle terre cedute alla Jugoslavia, dovendo deci-