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Febbraio 2013 - Accademia Italiana della Cucina

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CULTURA & RICERCA<br />

Libri di istruzioni, libri di istruzione<br />

DI ALDO VANINI<br />

Accademico di Cagliari Castello<br />

La differenza tra i libri<br />

di cucina che ci danno<br />

anche una visione sociale<br />

e culturale dell’epoca<br />

e quelli che invece spesso<br />

diffondono disinformazione<br />

e pressappochismo.<br />

L’epoca di Internet ci ha inondato<br />

di un profluvio di informazioni.<br />

La cucina è uno dei territori<br />

favoriti di questa compulsione<br />

comunicativa, in virtù <strong>della</strong> quale,<br />

come affermava Andy Warhol, tutti<br />

cercano il loro quarto d’ora di esposizione<br />

pubblica. Alla quantità non<br />

corrisponde quasi mai la qualità: il<br />

web abbonda di ricette improbabili,<br />

spesso risultato di superficiali copiae-incolla<br />

estranei al senso originario<br />

di una ricetta, alle sue radici nella<br />

tradizione e nella geografia.<br />

Nel migliore dei casi sono nulla<br />

più che “istruzioni”, elenchi di ingredienti<br />

e procedure, lontani dalla<br />

grande tradizione <strong>della</strong> manualistica<br />

cucinaria. Una tradizione il cui filo<br />

conduttore ricostruisce, oltre all’evoluzione<br />

degli usi gastronomici di un<br />

popolo, l’immagine completa di una<br />

società in formazione e trasformazione.<br />

Se quelle che circolano sul web<br />

sono, a mala pena, “istruzioni”, i<br />

manuali che dalla fine dell’Ottocento<br />

sono entrati nelle famiglie italiane<br />

e nella stessa storia <strong>della</strong> letteratura<br />

hanno rappresentato autentici “libri<br />

di istruzione”. La descrizione del fare<br />

in cucina veicolava una visione<br />

complessiva del mondo o, quanto<br />

meno, di una borghesia che si affermava<br />

come classe dirigente e che<br />

abbisognava dei suoi riti fondanti.<br />

In questa produzione letteraria<br />

spiccano tre casi esemplari che, insieme,<br />

ci danno uno spaccato del<br />

percorso sociale e culturale che ha<br />

portato dall’Italia post-risorgimentale<br />

al benessere del secondo dopo<br />

guerra.<br />

Il punto di partenza non può che<br />

essere “La scienza in cucina e l’arte<br />

del mangiar bene” di Pellegrino Artusi.<br />

Benestante borghese, finanziere<br />

CIVILTÀ DELLA TAVOLA <strong>2013</strong> • N. 246 • PAGINA 16<br />

per professione e studioso <strong>della</strong> letteratura<br />

e <strong>della</strong> buona tavola per<br />

passione, trasferì all’arte cucinaria i<br />

metodi e la visione del mondo di un<br />

Ottocento positivista. Con uno spirito<br />

vicino all’altro grande dilettante<br />

d’Oltralpe, Anthèlme Brillat-Savarin,<br />

si dedicò alla raccolta scientifica delle<br />

ricette <strong>della</strong> tradizione, non limitandosi<br />

alle tecniche, ma arricchendo<br />

ogni pietanza di aneddoti e riflessioni<br />

dai quali si ricostruisce<br />

un’intera “Weltanschauung”. Il rapporto<br />

di questi grandi borghesi nei<br />

confronti <strong>della</strong> buona tavola non è<br />

quello del cuoco ma, piuttosto, del<br />

raffinato ed esigente cultore <strong>della</strong><br />

materia, esponente, sia pure indiretto<br />

in quanto celibe, di una cultura<br />

fortemente patriarcale, in cui il pater<br />

familias è utente e giudice finale del<br />

lavoro <strong>della</strong> cucina.<br />

Degno di nota è il valore “politico”<br />

del trattato dell’Artusi, da egli<br />

stesso troppo modestamente definito<br />

‘Manuale pratico per le famiglie’,<br />

che attraverso ricette appartenenti a<br />

tutte le tradizioni <strong>della</strong> penisola,<br />

suggella, anche sul fronte dell’alimentazione,<br />

la appena consolidata<br />

unità nazionale. Il valore <strong>della</strong> sua<br />

opera la portò a superare il passaggio<br />

del secolo, fino alla tredicesima<br />

edizione del 1909.<br />

I tempi cambiavano, intanto. La<br />

borghesia italiana si ampliava e modificava<br />

usi, costumi e ruoli familiari.<br />

La donna, pur continuando a<br />

esercitare prevalentemente i compiti<br />

di casalinga, occupava una posizione<br />

meno subalterna di quella che la<br />

caratterizzava nella società patriarcale<br />

di origine rurale a cui appartenne<br />

Artusi. Così, nel 1925, Ada Boni, direttrice<br />

<strong>della</strong> rivista “Preziosa”, pubblica<br />

“Il talismano <strong>della</strong> felicità”, assai<br />

più di una raccolta di ricette, ma

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