Febbraio 2013 - Accademia Italiana della Cucina
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mettono a soffriggere, in olio, aglio<br />
e peperone, assieme ad un pizzico<br />
di sale; una volta rosolati a puntino,<br />
si versano nella pa<strong>della</strong>, si alza il<br />
fuoco, facendo continuare la cottura<br />
per altri 15 minuti circa, rigirando<br />
col forchettone di legno. A parte, intanto,<br />
si sarà provveduto a far cuocere<br />
(per buoni 25 minuti), l’elaborato<br />
di mais sotto la coppa di ferro,<br />
ricoprendone di brace rovente la superficie<br />
esterna. Vi è chi, in mancanza<br />
di altra soluzione da forno a<br />
legna, fa ricorso a una cottura alternativa,<br />
quasi sempre la “friggitura”<br />
domestica: occorre dire che non è la<br />
stessa cosa, anzi ne risulterà danneggiato<br />
il risultato gustativo finale.<br />
Arrivati a conclusione di cottura delle<br />
verdure e <strong>della</strong> focaccia - possi-<br />
Il cece non era coltivato nella preistoria, e non si trova<br />
in forma spontanea. La parola “kiker” è etrusca o<br />
ebraica; i Romani già lo coltivavano e probabilmente<br />
lo avevano preso proprio dagli Etruschi, che lo avevano<br />
importato dall’Asia Minore. Si coltivava molto anche<br />
in Grecia e Siria. Per gli Egiziani il cece era da<br />
considerarsi cibo impuro, come fave e lenticchie. La<br />
coltivazione è comunque remotissima, risulta citata<br />
nella Bibbia e da Omero. I Greci furono i primi ad<br />
accertare le virtù medicinali del cece.<br />
Orazio riferisce che i Romani usavano<br />
cibarsi di ceci fritti, secondo un’usanza<br />
non del tutto abbandonata nel nostro<br />
Meridione durante le feste patronali.<br />
Successivamente il cece si diffuse<br />
anche in Siria e nell’Africa nera. Racconta<br />
Francesco Alvarez, che nel 1513<br />
fece un lungo viaggio in Etiopia, che i<br />
ceci, assieme alla farina d’orzo abbrustolita,<br />
facevano parte <strong>della</strong> riserva di<br />
viveri dei guerrieri al seguito del re.<br />
Mattioli parla dei ceci e dice tra l’altro che generano<br />
latte alle nutrici. Galeno afferma che rinvigoriscono<br />
gli stalloni, cui si davano di conseguenza, come cibo<br />
preferenziale o integrativo. Nel 1300 i ceci dovevano<br />
comunque essere molto popolari se erano uno dei cibi<br />
quaresimali, che la stessa chiesa approvava, come<br />
nella filastrocca del toscano Antonio Pucci: “… e<br />
non più carne, siccom ‘a S. Chiesa piacque e volle:…<br />
fave con ceci…”. Ai francesi questo legume fu piuttosto<br />
funesto, dato che al tempo dei Vespri siciliani, per<br />
CULTURA & RICERCA<br />
bilmente contemporanea: ne va <strong>della</strong><br />
fragranza del cibo prodotto - si<br />
procede alla “calda” sbriciolatura di<br />
quest’ultima sopra le verdure, quasi<br />
croccanti, con le quali deve risultare<br />
amalgamata compiutamente, attraverso<br />
una sapiente e delicata mescolatura.<br />
Il caldissimo piatto va accompagnato<br />
dall’altrettanto rustico<br />
Montepulciano di cantina.<br />
Storicamente si tratta di un elaborato<br />
afferente dalle lontane tradizioni<br />
<strong>della</strong> cucina agro-pastorale del<br />
Vastese e dell’area collinare limitrofa:<br />
ossia fino ai limiti montani, quelli<br />
stessi che hanno prodotto “mangiari”<br />
contigui ai maccheroni “alla chitarra”<br />
e, dunque, di contingenza similare.<br />
Sicché non è richiamo inutile<br />
l’invenzione di quella illustre pasta,<br />
IL LEGUME DELLE ZUPPE<br />
CIVILTÀ DELLA TAVOLA <strong>2013</strong> • N. 246 • PAGINA 22<br />
tramandata con l’attribuzione “alla<br />
carbonara”, nata dalle necessità di<br />
alimentazione dei nostri montanari<br />
dediti all’attività avita di carbonai;<br />
necessità che, lungo molti decenni,<br />
hanno presieduto alla nascita e al<br />
progredire gastronomico <strong>della</strong> tavola<br />
rustica locale. Alla larga da capziose<br />
attribuzioni zonali, qualche<br />
volta non proprio troppo congrue<br />
presso ricettari di parte.<br />
Non dispiaccia, in conclusione, se<br />
l’autore conclama l’importanza dell’aureo<br />
precetto riproposto di recente<br />
in chiave accademica: “Aver capito<br />
che solo attraverso la tradizione<br />
si salva la cucina italiana. La gastronomia<br />
non è moda, ma cultura”.<br />
PINO JUBATTI<br />
See International Summary page 70<br />
riconoscerli e trucidarli, li costringevano a pronunciare<br />
la parola “cece”, ostica per i nostri cugini latini,<br />
che cadevano in trappola e rivelavano così, inconsapevolmente,<br />
la propria nazionalità. Gastronomicamente<br />
il cece in Italia è costituente fondamentale<br />
di moltissime zuppe ricorrenti in tante aree regionali,<br />
e ancora di tantissime diffuse minestre. Singolare,<br />
in Puglia, la pasta di ceci con scampi e vongole,<br />
lo zimino di ceci in Liguria, le tagliatelle con i ceci in<br />
Calabria, le virtù teramane, famosissimo<br />
minestrone annuale del 1° maggio.<br />
E poi la conosciutissima farinata,<br />
piatto ligure, considerato non alimento<br />
<strong>della</strong> quotidianità, ma piuttosto<br />
come “stuzzichino” o, addirittura,<br />
come una “golosità”. L’abbinamento<br />
dei ceci alla pasta, oltre al gusto, risponde<br />
alla necessità alimentare di<br />
addurre l’aminoacido essenziale metionina,<br />
carente nei ceci, e largamente<br />
presente nei cereali. I costituenti<br />
principali del cece sono: proteine, glucidi, lipidi, vitamine<br />
B1, B2, PP, C, provitamina A e sali minerali di<br />
potassio, fosforo, sodio, calcio, ferro, zinco e rame.<br />
Proprio per questa ricchezza salina, i ceci sono da<br />
controllare per chi soffre di ipertensione e arteriosclerosi,<br />
a meno che non si facciano in purea avendo<br />
cura di non utilizzare la cuticola di rivestimento. Il<br />
cece è anche vermifugo, stomachico e molto efficace<br />
nell’eliminazione dell’acido urico, con buona pace<br />
dei gottosi. (A.S.)