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Febbraio 2013 - Accademia Italiana della Cucina

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mangiare da uomo primitivo, da<br />

asceta orientale. Il crudo ha questa<br />

fama di essenziale che ci fa sentire<br />

bene.<br />

Detto tutto questo, è innegabile<br />

che vi è una moda, una tendenza<br />

che fa sì che tutti i ristoranti non ti<br />

neghino una tartare di tonno o di<br />

spada, e i sushi bar si sono diffusi a<br />

vista d’occhio. Abbiamo perso il senso<br />

<strong>della</strong> misura e abbiamo dimenticato<br />

che il nostro stile, quello del<br />

Mediterraneo, non è mai stato quello<br />

del pesce crudo. Al massimo ci rivolgevamo<br />

a certe cotture leggere, certe<br />

marinature nell’aceto, nel limone.<br />

Così in Calabria si faceva il crudo<br />

di neonata, l’equivalente dei “gianchetti”<br />

o bianchetti. Questo novellame<br />

di alici veniva sciacquato in acqua<br />

salata, asciugato e condito con<br />

un’emulsione di olio e limone.<br />

Mezz’ora di riposo al fresco, una piccola<br />

rifinitura con un poco di prezzemolo<br />

tritato e il piatto era pronto<br />

CULTURA & RICERCA<br />

ed emanava tutta la sua naturale freschezza.<br />

Era cucina di gente che rispettava<br />

il mare ma che combatteva la propria<br />

fame e il futuro incerto e, di<br />

conseguenza, tendeva a preservare il<br />

pescato quanto più fosse stato possibile.<br />

Era lo stile di gente che cucinava<br />

e perciò il pesce lo friggeva, lo<br />

grigliava, lo faceva in umido, lo infornava,<br />

lo conservava sotto sale. E<br />

le ricette erano il frutto di una sapienza<br />

popolare formatasi nei secoli.<br />

Per contro il crudo è fatto da operatori<br />

che analizzano il prodotto al<br />

mercato e poi affilano i coltelli come<br />

un chirurgo i suoi ferri. Manca l’intingolo<br />

che bolle, l’aroma che si<br />

spande, il profumo del forno che<br />

cuoce con erbe fresche.<br />

Di più: il nostro stile è quello che<br />

ci vede a tavola con un bicchiere di<br />

vino ad accompagnare il piatto, e il<br />

vino, in generale, non sembra accoppiarsi<br />

con perfezione al pesce<br />

IN RICORDO DI LIVIO CERINI DI CASTEGNATE<br />

Livio Cerini di Castegnate, Accademico Onorario <strong>della</strong><br />

Delegazione di Milano, se ne è andato al calare<br />

dell’anno. La sua lunga vita è stata intensa, poliforme,<br />

densa di esperienze, di conoscenze, di cultura e<br />

creatività, di passioni, di “meravigliose emozioni” e<br />

di rispetto per la tavola e l’amicizia conviviale.<br />

Al di là dei tanti modi di definire la sua esistenza,<br />

Livio era prima di tutto un “gentiluomo” nei tratti e<br />

nei comportamenti. E un gastronomo per vocazione.<br />

Perché Livio, uomo di mondo, da buongustaio amava<br />

e cercava il meglio, dai cibi più raffinati a quelli<br />

popolareschi che chiamava “minuterie” (le frattaglie,<br />

per intenderci): non solo sapeva distinguerli e apprezzarli<br />

ma li praticava, li riproduceva e “prova e<br />

riprova” li sottoponeva agli amici e infine li catalogava<br />

e codificava.<br />

A descrivere le sue ricette e l’arte di prepararle e di<br />

servirle restano i suoi libri, a testimonianza del suo<br />

amore per il “ben mangiare”, non solo per il buono e<br />

il bel mangiare. Ne ha scritto una mezza dozzina: il<br />

primo, non a caso, porta il titolo di “Il cuoco gentiluomo”<br />

(860 pagine, anno di pubblicazione 1980),<br />

cui hanno fatto seguito “Il gentiluomo in cucina”, “Il<br />

Grande Libro del baccalà” (prima edizione Longane-<br />

CIVILTÀ DELLA TAVOLA <strong>2013</strong> • N. 246 • PAGINA 6<br />

che si presenta al commensale con<br />

grande purezza di sapori, una specie<br />

di perfezione dell’eccellenza. Praticamente<br />

senza che il talento del cuoco<br />

si manifesti.<br />

Allora accettiamo con simpatia<br />

questo modo di mangiare il pesce,<br />

senza però farlo diventare la massima<br />

espressione <strong>della</strong> capacità del<br />

cuoco. Per giudicare un cuoco nelle<br />

sue capacità dobbiamo vederlo davanti<br />

al fuoco mentre lavora con padelle,<br />

casseruole e griglie. Deve mettere<br />

nel suo lavoro il talento, che è<br />

l’espressione più grande che possa<br />

far arrivare nel piatto: un insieme di<br />

materie che si uniscono in un’armonia<br />

di sapori, in un’eleganza di consistenze,<br />

in una bellezza di presentazione.<br />

Insomma guardiamo nella cucina<br />

se vi è quel “grano di sale” che<br />

rende tutto più saporito, anche intellettualmente.<br />

ALFREDO PELLE<br />

See International Summary page 70<br />

si, ristampato da IdeaLibri nel 2008), “Il Gourmet Vegetariano<br />

per Carnivori”, “A tavola per amare”, “Il<br />

Libro delle padrone di casa” (prefazione di Chiara<br />

Nuvoletti Agnelli) oltre a un paio di deliziosi volumi<br />

sui “Menu” e a qualche “inedito”, come “Il re mangia<br />

solo - le varie fisiologie in cucina” (da scoprire).<br />

Piccoli, devoti patrimoni di scienza culinaria. Perché<br />

“troppi ricettari - era solito dire - sono un insieme<br />

di schede scheletriche… dove la cucina è ridotta<br />

a farmacopea… dove l’individuo con la sua personalità<br />

e la sua storia non c’è più”. Partendo dalle<br />

basi per “parlare in modo chiaro a chi vuole cucinare<br />

davvero”.<br />

Non solo ricette dunque - sia pure minuziose nei dettagli,<br />

nell’elencazione degli ingredienti e dei dosaggi,<br />

nelle tecniche, nei tempi - ma racconti e insieme lezioni<br />

di cucina e anche di vita, capaci di trasmettere<br />

una sorta di “filosofia <strong>della</strong> convivialità”. Perché la<br />

cucina non è improvvisazione, faciloneria, casualità,<br />

sentito dire… Piuttosto un “fior di piacere” e di<br />

sapere. Tutto deve tendere, portare a una cucina “cosciente”,<br />

dove nulla sia lasciato al caso e solo “allora<br />

diventa comprensibile al ricco Epulone come al povero<br />

Giobbe”. (Carlo Giuseppe Valli)

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