Cardiologia negli Ospedali n° 154 Novembre/Dicembre 2006 - Anmco
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tematiche della cultura, studi clinici, registri, ecc. In questo<br />
modo il ruolo “formativo” di ANMCO che già discende<br />
dalla capillarizzazione dell’assistenza, emerge prorompente.<br />
La cultura poi tira l’interesse alla promozione dell’organizzazione.<br />
Alcuni hanno attitudini organizzative esclusive.<br />
L’importante è evitare la concezione di un modello di assistenza<br />
che si ritenga appagato dall’aver formulato modelli,<br />
strutturato logiche di reti, elaborato protocolli e linee guida,<br />
dimenticando che all’interno di questo “contenitore organizzativo”<br />
bisogna inserire la cultura dell’operatore, il respiro<br />
clinico di un agire orientato al malato e non solo alle<br />
“tutele”. Se conoscenze, rigore, attenzione alla sostenibilità<br />
e buona organizzazione camminano insieme allora, efficacia,<br />
efficienza, appropriatezza, sostenibilità ed equità d’accesso<br />
cammineranno insieme ed il paziente delle Madonie o Alta<br />
Carnia avrà l’opportunità di afferire ad una rete che, pur con<br />
qualche disagio, sarà efficiente ed efficace per lui come per<br />
chiunque altro.<br />
La <strong>Cardiologia</strong> <strong>Ospedali</strong>era ha tutti i requisiti per identificare<br />
bisogni, strutturare percorsi di soluzione e fornire assistenza<br />
qualificata.<br />
Nel campo cardiologico, oggi, nei tempi della “globalizzazione”,<br />
quali differenze vedi con gli altri paesi<br />
europei<br />
Non ho conoscenza dettagliata della realtà Europea.<br />
La Società Europea di <strong>Cardiologia</strong> ha intrapreso un processo<br />
di unificazione per aree, difficile da governare per le spinte<br />
centrifughe delle società di settore, ma del tutto condivisibile<br />
e che l’Italia, nelle sue varie e numerose componenti,<br />
deve accogliere ed assecondare.<br />
Colgo talvolta in Italia rispetto ad alcune realtà europee un<br />
frainteso del concetto di periferizzazione dell’assistenza ed<br />
autonomizzazione dei percorsi. Nel senso che talvolta la<br />
rete deve esistere nella misura in cui “io devo attrarre come<br />
hub” ma non nel senso che devo riferire a mia volta come<br />
“spoke”. In altri termini l’“autonomia di gestione del malato”<br />
non è la rete che rende “autonomi” tutti attraverso la buona<br />
organizzazione, ma l’“autonomia” per la quale “io devo fare<br />
il massimo di ciò di cui i miei pazienti hanno bisogno”, spesso<br />
fuori da logiche di bacino, volumi minimi di attività, standard<br />
formativi degli operatori! In questo modo parte un<br />
sistema non di “interazione in rete” ma di “1000 autonomie”<br />
che non concorrono ma competono, anche perché vi<br />
possono essere problemi di sussistenza per insufficiente<br />
numero di procedure, allora si espandono le indicazioni, ecc.<br />
In molte realtà europee questo non esiste. In Slovenia,<br />
Danimarca e Olanda ci sono pochi Centri Hub e decine di<br />
spoke.<br />
Qual è l’età media dei tuoi collaboratori e quanti<br />
sono i Cardiologi under 40<br />
L’età media è 48 anni. Cinque collaboratori hanno meno di<br />
40 anni, sono eccezionalmente bravi e motivati.<br />
Dovrebbero essere un po’ più autonomi nel trovare soluzioni<br />
oltre che nell’identificare problemi. L’Università su questo<br />
aspetto ha delle responsabilità. Quando stimolati talvolta<br />
mi sorprendono per la capacità di coniugare conoscenze<br />
(sapere), competenze (saper fare), saper essere e relazionarsi,<br />
saper risolvere i problemi e strutturare modelli per<br />
trasferire conoscenze.<br />
Avendo deciso di non abdicare alla clinica dato il rischio<br />
totalizzante della componente gestionale organizzativa del<br />
nostro essere direttori, mi giovo della loro collaborazione<br />
con sicurezza di delega, per lo più nella parte clinica e didattica<br />
ma gradualmente anche nella parte organizzativa.<br />
Un altro punto importante per la cardiologia italiana<br />
è il rapporto tra <strong>Cardiologia</strong> ospedaliera e universitaria.<br />
Dal tuo punto di vista, di Cardiologo ospedaliero<br />
ma anche di docente universitario, come vedi lo<br />
stato attuale dei rapporti (o forse dei conflitti) tra le<br />
due istituzioni<br />
Io penso che l’attitudine a trasferire conoscenze costituisca<br />
un compito fondamentale e irrinunciabile di tutti coloro che<br />
hanno contenuti da trasferire. Non tutti riescono con la<br />
stessa efficacia nell’ambito degli ospedali e dell’università. Lo<br />
spirito di ricerca è una disposizione della mente, nasce dalla<br />
capacità di cogliere input quotidiani da osservazioni cliniche<br />
o di laboratorio per farne ipotesi da approfondire o esperienze<br />
da riferire. In questa prospettiva non vedo possibili<br />
ipotesi di separazione manichee né conflitti, sarebbe come<br />
immaginare che alcune potenzialità di pensiero ed attitudini<br />
debbano essere inibite a seconda dell’appartenenza!<br />
Semplicemente impossibile. Infatti esistono straordinari<br />
docenti e ricercatori fra gli ospedalieri ed eccellenti clinici<br />
fra gli universitari. Infatti la produzione scientifica della<br />
<strong>Cardiologia</strong> <strong>Ospedali</strong>era su riviste recensite è rimarchevole.<br />
Esistono progetti di ricerca svolti in laboratori universitari<br />
che vivono dell’apporto di casistica e pensiero di realtà<br />
ospedaliere. La specifica allora risiede non nella categorica<br />
attribuzione di funzioni ma nella rappresentazione percentuale<br />
delle componenti assistenza, ricerca e didattica e nei<br />
contesti in cui ciò avviene.<br />
L’Università ha percorsi dedicati per la formazione di chi gli<br />
è affidato ed ha la grande responsabilità di dover promuovere<br />
conoscenze, competenze, attitudini relazionali, preparazione<br />
gestionale, attenzione ai problemi sociali e sostenibilità,<br />
educazione alla condivisione e collegialità d’approccio,<br />
di dover formare professionisti competenti (“globalizzati”)<br />
che sappiano curare in Italia ed all’estero, gli europei e gli<br />
extracomunitari, i Cardiologici “esclusivi” e gli oncologici o i<br />
geriatrici con problematiche cardiologiche. Dove sta il problema<br />
Possibile immaginare che un professore universitario<br />
di ruolo cresciuto magari nell’area dell’ipertensione arteriosa<br />
o della medicina interna possa promuovere tutto ciò<br />
senza l’apporto di colleghi universitari di altre aree e dei colleghi<br />
ospedalieri che gestiscono per definizione le contingenze,<br />
le domande indifferenziate dal territorio, l’urgenzaemergenza<br />
con il carattere dell’indifferibilità ed irrinunciabilità<br />
C’è spazio per tutti, anche se l’insegnamento delle “cono-<br />
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