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L'ecfrasis nel Piacere di Gabriele d'Annunzio - E-thesis

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presenta, o come un Testo barthesiano, oppure come un oggetto materiale. Alla fine è<br />

il lettore che decide. Quin<strong>di</strong> Clüver afferma che la rappresentazione sta <strong>nel</strong>l’occhio del<br />

ricevente 101 , ma gli sfugge il fatto che l’apertura del concetto <strong>di</strong> rappresentazione<br />

(come abbiamo visto in 2.1.2) già rende la definizione <strong>di</strong> Heffernan più flessibile 102 .<br />

Dunque, se riconosciamo l’elasticità del concetto <strong>di</strong> rappresentazione, la<br />

definizione <strong>di</strong> Heffernan è ottima per funzionare come termine <strong>di</strong> base. È come un<br />

«ombrello» sotto cui possiamo collocare altri concetti, i quali sono <strong>di</strong> carattere pratico,<br />

e quin<strong>di</strong> servono come strumenti operativi. Per chiarezza è anche meglio parlare <strong>di</strong><br />

ecfrasis invece dell’interme<strong>di</strong>alità proposta da Wagner, poiché la parola «ecfrasis»<br />

implica il rapporto parole-immagini, senza ulteriori specificazioni. Per la stessa<br />

ragione è meglio non espandere il termine alla musica o testi come propongono Smith<br />

e Clüver. Il referente figurativo è l’unico in<strong>di</strong>catore che è comune all’ecfrasis in<br />

<strong>di</strong>versi testi e in <strong>di</strong>verse occasioni. Quin<strong>di</strong> sarebbe inutile sostituirla con un nuovo<br />

termine che designasse il suo carattere speciale in maniera meno esplicita. Infatti,<br />

benché eterogenea, l’ecfrasis ha caratteristiche testuali che si verificano in tempi o<br />

generi <strong>di</strong>versi, e perfino ekphrasis antico e ecfrasis moderno hanno qualche cosa in<br />

comune.<br />

2.2.4 Il modello <strong>di</strong> Robillard<br />

Una caratteristica del <strong>Piacere</strong> è che la presenza delle arti figurative è fortissima,<br />

eppure in tante occasioni non si tratta <strong>di</strong> una descrizione <strong>di</strong> un opera d’arte. Sovente è<br />

solo un accenno. Eppure l’ecfrasis sembra un aspetto nodale <strong>nel</strong>l’opera. Valerie<br />

Robillard è consapevole che una definizione unica, magari rigida, dell’ecfrasis<br />

<strong>di</strong>fficilmente ne copre tutte le possibili manifestazioni. I testi letterari sfuggono alle<br />

classificazioni, non rispettano i limiti artificiali, e neanche i confini delle arti sono<br />

stabili. Inoltre la letteratura e l’arte figurativa si incontrano in vari mo<strong>di</strong> 103 .<br />

D’altro canto, la terminologia delle definizioni concise è spesso ambigua. Il<br />

termine chiave è rappresentazione, come già abbiamo visto nei paragrafi 2.1.2 e 2.2.3.<br />

In particolare Robillard segnala i problemi che sorgono dalla metonimia (part-whole<br />

relationship). Il nocciolo della questione è quale sarebbe la quantità minima che deve<br />

essere descritta, per esempio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto, per poter parlare <strong>di</strong> una rappresentazione?<br />

101 Clüver 1997, 25-26.<br />

102 Bryan Wolf (1990, 185) e Peter Wagner (1996, 4-5) prevedono il ripensamento <strong>di</strong> tutte le forme<br />

rappresentative, per cui anche la nuova ecfrasis dovrebbe considerare l’immagine visiva come un<br />

segno, un’opera <strong>di</strong>scorsiva. Wagner 1996, 35.<br />

103 Robillard 1998, 53-54.<br />

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